Mag 28, 2025 | Articoli

Francesca Albanese: «Sto per fare i nomi di 45 grandi aziende del mondo che finanziano il genocidio. Mi gettano fango addosso, ma non ho paura»

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di Silvia Bombino, Vanity Fair 27 maggio 2025

La relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, è stata la prima a pronunciare, all’Onu, la parola «genocidio» per quel che sta succedendo a Gaza. Adesso racconta in un libro perché il mondo «se ne frega». E a Meloni direbbe: «In Italia la Costituzione è violata ogni giorno»

«Io non ho paura. Il mio ruolo è osservare e descrivere la situazione. C’è un genocidio in corso in Palestina, e quando lo dicevo l’anno scorso non lo diceva ancora nessuno. Adesso nessuno lo nega». È decisa la giurista Francesca Albanese, 48 anni, dal 2022 prima donna ad aver ricoperto l’incarico di relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati e autrice di Quando il mondo dorme (Rizzoli), in uscita il 27 maggio. Il riferimento alla paura lo fa perché le chiedo come si sente alla vigilia della consegna all’Onu di un nuovo rapporto che farà parlare: se nel 2024 era Anatomia di un genocidio, il 4 luglio presenterà al mondo un documento in cui traccia mille aziende del mondo che finanziano il genocidio, e fa i nomi di 45: «chi sfrutta le risorse palestinesi, chi fornisce armi, il sistema carcerario, le banche, i fondi pensione, le compagnie assicurative, i supermercati, le organizzazioni non governative che riciclano denaro per gli israeliani, le università, la finanza… È il motivo per cui mi stanno riversando addosso tutto questo fango», spiega. «Mi ha scritto persino il Dipartimento di Giustizia americano: mi invitano a smettere di indagare sulle imprese perché sono cose false. Ma loro che ne sanno? Mi chiedessero il rapporto, lo analizzassero, ed eventualmente ponessero delle domande».

Sgombriamo subito il campo sul fango: la accusano di avere un conflitto di interesse perché avrebbe usufruito di un viaggio in Australia finanziato da associazioni pro-Hamas. Che cosa risponde?
«Oggi ho proprio scritto una lettera all’Onu dicendo: “adesso o pubblicate voi i documenti che provano che questo viaggio in Australia l’avete pagato voi…».

Perché non lo dicono?
«Bella domanda. In Australia mi hanno invitato due organizzazioni di lunga data, e non hanno pagato proprio un bel niente. Sa perché? Perché il mio viaggio è stato autorizzato dalle Nazioni Unite. Avevo del budget in esubero, non potevo andare in Palestina e l’ho utilizzato per andare lì. Eppure questa accusa va avanti da un anno e mezzo, c’è stata pure tutta un’inchiesta. I miei colleghi si vergognano, perché io ho lavorato 10 anni con le Nazioni Unite, e ho la reputazione di una persona non solo integra e immacolata, ma di grande lavoratrice indefessa».

Quando dicono che Francesca Albanese fa politica che cosa risponde?
«Che non mi conoscono. Il mio faro è il diritto internazionale e il mio ruolo non è politico. Lavoro nell’ambito dei diritti umani da oltre 20 anni, metà dei quali trascorsi come funzionaria delle Nazioni Unite per l’Alto Commissariato per i diritti dell’uomo, e poi per UNRWA, l’agenzia che si occupa dei profughi palestinesi in Medio Oriente. Poi ho lasciato l’agenzia e mi sono dedicata alla ricerca, sono entrata in accademia, ho all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche che continuo a fare. Ho scritto il libro Palestinian Refugees in International Law che è stato pubblicato dalla Oxford University Press, e prima dell’incarico all’Onu insegnavo all’università in corsi superiori, quindi master, e e lavoravo per un’organizzazione non governativa che si occupa di rifugiati in Medio Oriente. Uso l’imperfetto perché ho messo tutto in pausa per questo impegno che comunque, in tempi di genocidio, è gravoso».

Come nasce il suo interesse per i diritti umani?
«Penso che sia un po’ scritto nella mia natura, nella mia personalità, nella mia formazione, in Italia. Vengo da una famiglia che era mediamente consapevole delle ingiustizie del mondo e quindi discuteva, ma soprattutto leggeva. Io sono stata marchiata a fuoco dall’orrore dell’Olocausto, poi la mia adolescenza è stata segnata dalle uccisioni della mafia, della camorra nella mia terra (Albanese è nata a Ariano Irpino, ndr), e della mafia in una terra che poi mi ha adottato che è la Sicilia: la mafia è un sistema collusivo fatto di poteri economici, finanziari e politica ed è questa una chiave di lettura potentissima per capire la quello che succede in Palestina. Poi ho frequentato la SOAS University of London, e ho compreso il colonialismo, cioè che per 500 anni l’Europa, anche noi, abbiamo commesso crimini efferati e genocidi sottomettendo, sfruttando altri popoli. Il mio interesse per i diritti umani deriva da queste tre cose, direi».

E come è finita ad occuparsi di Palestina?
«Dopo la SOAS, nel 2005. Ma io sono stata sempre una molto attenta all’università, ero una impegnata nel movimento studentesco, nel sociale, ricordo che mi sono battuta in modo furente per l’affissione di una lapide commemorativa a Giovanni Gentile, perché era quello che aveva firmato le leggi razziali che avevano mandato a morire i nostri connazionali ebrei. Mi sono sempre impegnata per principio, poi la questione palestinese per me era importante per i curdi, per i tibetani, per le nazioni senza Stato. O forse, semplicemente, perché sono consapevole dello sforzo che hanno fatto i nostri partigiani per liberarci dal fascismo. Ecco, tornando alla domanda di prima, l’unico valore politico di cui mi sento portatrice orgogliosa è l’antifascismo. Io sono antifascista».

Lei nel suo libro Quando il mondo dormescrive che occuparsi di Palestina è stato come prendere la pillola rossa di Matrix, ossia le ha capire «il sistema».
«Sì perché pensiamo alle relazioni internazionali, e le studiamo, come una serie di trattati, la roba più noiosa che si possa fare. Invece il diritto internazionale, soprattutto dal punto di vista dei diritti umani, è fatto da movimenti sociali che portano a una trasformazione dell’ordinamento giuridico, ossia le regole che ci diamo così che siamo protetti pure noi individui. Per questo vengono da me studenti a orde, mi fermano per strada ragazzi che dicono “Grazie che ci stai facendo capire”. Io non vivo manco in Italia, quindi queste persone non dovrebbero neanche sapere chi sia io, non non ho grande esposizione».

Che cosa dice il diritto internazionale della Palestina?
«Che l’occupazione israeliana è illegale, va smantellata, vanno smantellate le colonie, vanno ritirate le truppe, va smesso di sfruttare le risorse naturali. Ma dice pure che i popoli sottomessi hanno il diritto a resistere. Con ogni mezzo, anche la lotta armata, purché non sia diretta contro civili. Questo è il diritto internazionale. Il diritto alla resistenza è ciò che hanno i popoli rispetto al diritto all’autodifesa che hanno gli Stati».

Perché il mondo «dorme»?
«Anche se è diventato indifendibile il genocidio, perché su quello che dicevo solo io un anno e mezzo fa, adesso c’è consenso, lo dice Amnesty, altre persone delle Nazioni Unite, commissioni di inchiesta, lo dicono gli storici israeliani, non serve a niente, vede? Interessi economici, finanziari sono tali e radicatissimi, per cui che cosa ci frega che muoiano i palestinesi? Ma non ci interessano neanche gli israeliani, questa è la verità».

Si ricorda quando ha capito che bisognava usare la parola «genocidio»?
«Ci ho messo 15 giorni e 15 notti a leggere a parlare con esperti di genocidio della Bosnia, del Ruanda, con accademici… Avrò parlato con 50 persone, non mi convincevo, pensavo fosse troppo presto, ma c’erano dei miei colleghi che dicevano “Francesca, sei la special rapporteur sulla Palestina. Se non lo dici tu, chi lo dice?”.

Quali sono stati i momenti in cui è stato invece chiaro che iniziava il genocidio?
«Il 9 ottobre 2023, quando il ministro della Difesa israeliano ha annunciato la chiusura e l’assedio totale della Striscia di Gaza. Perché già a dicembre di quell’anno la gente lì moriva di stenti: come in tutti i ghetti della Storia, tra la popolazione di Gaza c’era gente affamata per l’80% e gente che stava bene. Le Nazioni Unite, la cooperazione internazionale, in qualche modo avevano mantenuto un accesso. Oggi stanno male tutti. L’altro momento è quando Netanyahu ha detto “Amalek”, la parola biblica che significa “nemico”, la parola chiave di questo genocidio: in questi 596 giorni non ho guardato solo quello che stava succedendo ai palestinesi, ma anche quello che facevano gli esecutori materiali di questo genocidio, quindi spesso dei ragazzi di 18, 19, 20 anni, trasformati, che non si rendono conto di che stanno facendo. Chiaramente non li sto giustificando, però sono tutte vittime. Sono stati talmente indottrinati da un’ideologia inneggiante alla violenza e che ha strumentalizzato la loro paura atavica di essere sterminati, che ecco che cosa è successo».

La Commissione Europea va verso la revisione dell’accordo tra Ue e Israele, mentre l’Italia e la Germania hanno votato no. Si dice sempre che i tedeschi hanno il problema del senso di colpa per l’Olocausto.
«Non c’entra, questa è diventata l’arma di distrazione di massa. Se fosse vero, dovrebbero avere il senso di colpa nei confronti di tutti gli ebrei, non solo dello Stato d’Israele che non rappresenta tutti gli ebrei, ci sono centinaia di migliaia di ebrei che si stanno rivoltando in tutto il mondo. In Germania invece sono state anche chiuse organizzazioni ebraiche perché critiche di Israele».

E l’Italia?
«Ho terminato in questi giorni la mia nuova relazione, che presenterò alle Nazioni Unite. C’è di tutto: non abbiamo solo la coscienza sporca, abbiamo le mani sporche. Come dicevo, abbiamo troppi affari e nessuno vuole interrompere questo rapporto con Israele. Non solo. Stanno approfittando del genocidio, stanno facendo profitto sul genocidio, il genocidio ha creato un nuovo mercato».

Si riferisce alle armi?
«Non solo. Servono anche i bulldozer per buttare giù le case, chi li produce? C’è tutto un indotto. Poi ci sono le università: perché reprimono gli studenti? Molte di loro hanno una nutrita parte del loro budget fornito dalla difesa e la difesa è è collegata alle armi israeliane. L’Italia fornisce armi, compra tecnologia per Israele. È qualcosa che ci rende tutti più fragili, domani queste armi saranno usate contro di noi».

Che tipo di protezione ha dall’Onu?
«Solo l’immunità diplomatica, cioè non posso essere perseguita per il mio lavoro. Mentre ho il sostegno di tanti nell’organizzazione, è la stessa leadership a non difendermi attivamente, vedi il rapporto dei diffamatori di UnWatch. Le Nazioni Unite fanno finta di nulla anche se sanno che vengo attaccata solo perché porto avanti la carta dell’Onu. E nicchiano, forse, perché hanno paura di perdere i finanziamenti di alcuni Stati».

Quando scade il suo mandato?
«Tra 3 anni».

Pensa di riuscire ad arrivare in fondo?
«Ero già pronta a marzo, quando il mandato avrebbe potuto non essere rinnovato. Con tanta pressione specialmente dagli Usa. Ho riunito la mia famiglia, era il mio compleanno e mi sono ritirata con grande sobrietà in campagna, perché ero esausta per quel frastuono. Già è dolorosissimo vivere e documentare un genocidio, poi devi essere pure vilipesa… Io non sono una figura politica e non sono un’attivista, sono una persona che l’unica cosa che ha fatto nella vita è lavorare per i diritti umani e produrre conoscenza. È per queste cose che mi è stato affidato questo mandato e non mi dovrei trovare nell’occhio del ciclone. Quando hanno confermato il rinnovo del mandato mi sono detta: “andiamo avanti” ma chiariamoci, non mi sarebbe dispiaciuto defilarmi. L’unico motivo per cui volevo assolutamente continuare era quest’inchiesta».

Quindi è fiduciosa.
«Per rimuovermi dall’incarico serve il voto del Consiglio dei diritti umani e per quanto abbia avuto ragioni per criticare diversi Stati, dalla Norvegia all’Irlanda, nessuno ha chiesto il voto di fiducia nei miei confronti, perché lo sanno che alla fine dico la verità. C’è amore e odio nei miei confronti perché, se da una parte espongo le loro responsabilità, dall’altra c’è comunque della decenza nei diplomatici che dicono: “Alla fine non è lei il problema, il problema è quello che sta succedendo in Palestina”».

La accusano anche di dirsi «avvocato» senza avere fatto l’esame per l’abilitazione alla professione.
«Io non mento mai. Non ho fatto l’esame da avvocato perché non faccio l’avvocato, e non l’ho mai voluto fare. Ho fatto giurisprudenza, e quasi per caso, ero confusa, avevo appena perso mio padre. Adesso stimo tantissimo gli avvocati in Italia che si occupano di diritti umani, ma 25, 30 anni fa, quello che volevo fare io da noi non esisteva».

Chi invece la sostiene?
«Tanti, tantissimi. Accademici, diplomatici, storici come Avi Shlaim e Alon Confino, tutta la gente disgustata da quello che sta succedendo, alcuni parlamentari italiani. C’è una rivoluzione che è cominciata, non si fermerà, è per questo che la repressione è partita così forte, perché la Palestina oggi ci ha messo davanti ad uno specchio e io per tanti sono quella che questo specchio lo regge».

Che cosa dicono in famiglia?
«Mia figlia grande, che ora ha 13 anni, capisce la pressione a cui sono sottoposta. Ma ho sempre avuto il sostegno di mio marito e dei miei figli. Senza di loro non ce la farei».

Se oggi dovesse incontrare Giorgia Meloni, che cosa le direbbe?
«Si esercita il potere nei limiti e rispettando la Costituzione, e lei non lo fa. In Italia si viola la Costituzione ogni giorno».

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