Di Roberto D’Agostino

Innanzi tutto occorre utilizzare le parole giuste, in caso contrario non si capisce di cosa stiamo parlando. L’esempio più clamoroso riguarda Gaza dove fino a ieri tutti i giornali e i telegiornali parlavano di “guerra” di Gaza per simulare uno scontro inesistente, allo scopo di mascherare, agli inizi una mattanza, poi un vero e proprio genocidio.
Dopo due anni l’accecante evidenza sta un poco aggiustando il linguaggio, e dunque il senso delle cose.
Per passare dalla tragedia alla farsa, foriera comunque di nuove tragedie, stiamo chiamando accordi le imposizioni giugulatorie fatte da Trump alla UE nella tenuta del Golf Club di Turnberry in Scozia di sua proprietà (e già il luogo si presta a fare da sfondo a una farsa).
I contenuti sono stati ampiamente commentati, ma vale la pena ricordarli: dopo l’accettazione dell’aumento al 5% del PIL di spese militari a favore NATO, cioè a favore del sistema industriale militare USA, dopo l’esenzione fiscale delle big tech, dopo gli 800 miliardi di euro del Rearm Europe, si aggiunge un impegno ad acquistare negli USA 750 miliardi di dollari di energia e a far fare alle aziende europee nuovi investimenti sempre negli USA per 600 miliardi di dollari, il tutto condito da un aumento dei dazi al 15% a cui va aggiunto una quasi equivalente svalutazione del dollaro.
Dal momento che non si tratta di un accordo, ma di una imposizione, per quale ragione una comunità di 450 milioni di abitanti (contro i trecentocinquanta degli USA) con il secondo PIL aggregato e probabilmente con il mercato più ricco del mondo, avrebbe dovuto subirla in modo così umiliante? Le ragioni sono molte e riguardano svariati fattori, dal livello della classe dirigente europea dominata da una ideologia mercatista di destra, alla governance tecnocratica che domina la UE, all’assenza di qualsivoglia controllo democratico, e così via, ma una prevale sulle altre.
Come vassalli politici dell’Impero i Paesi europei hanno progressivamente introiettato le ragioni, che vuole dire strategie, alleanze, individuazione degli amici e dei nemici, dell’impero stesso. E l’Impero oggi, all’alba della sua crisi, ha deciso di rompere qualsiasi regola che lo tenga legato al diritto internazionale costruito negli ultimi ottant’anni e di agire esclusivamente in base a rapporti di forza, individuando come nemici esistenziali tutti quei Paesi, a cominciare dalla Russia per terminare strategicamente con la Cina, che possano opporsi al suo dominio morente.
L’Impero, per sopravvivere e sperare di rafforzarsi, deve oggi mobilitare tutti i suoi vassalli espropriandone le risorse materiali, fino a quelle umane come nel caso dell’Ucraina che deve mandare a morire i propri figli; e in prospettiva come nel caso dell’Europa, se si avverassero le dichiarazioni allucinate dei vari Mertz, Starmer, Rutte, Kallas e altri, tragiche figure che potrebbero essere ben rappresentate dalla matita di Grosz.
Se assumiamo questa logica, la logica dell’Impero, allora assumiamo il fatto che siamo già dentro a una guerra esistenziale, che la Russia vuole invaderci, che l’Iran vuole buttare bombe nucleari su di noi e i nostri alleati, che Israele sta facendo il lavoro sporco in nostro favore, che la Cina, subdola e misteriosa, sta tramando trame inimmaginabili a nostro svantaggio, e dunque che dobbiamo armarci e prepararci a una guerra guerreggiata entro i prossimi cinque anni: ne va della nostra stessa esistenza.
E’ per questi motivi che, seppure un po’ protestando, dobbiamo subire le imposizioni del Paese che ha garantito la nostra difesa (contro il comunismo) negli ultimi ottant’anni e senza il quale non abbiamo strumenti adeguati nella guerra che si prospetta.
Le centinaia e forse migliaia di miliardi che dobbiamo sottrarre al nostro welfare, il prezzo in disoccupazione e perdita di capacità produttive, il ridimensionamento o l’abbandono delle politiche green, sono tutti costi che certamente pagherà la grande massa della popolazione lavoratrice e non i grandi conglomerati finanziari e industriali che, al contrario vedranno, come già ampiamente accade, aumentare esponenzialmente i dividendi per i propri azionisti. E sono centinaia di miliardi che verranno tutti convogliati nell’economia di guerra, l’unica che non si esaurisce mai, almeno fino all’esaurimento degli uomini, oltre che a risolvere le crisi del nostro grande protettore: gli Stati Uniti d’America .
E’ la minaccia di una fantomatica guerra portata dal nostro nemico di sempre, l’Unione Sovietica, pardon, la Russia, che ci costringe ad accettare i ricatti di Trump ed è la spesa militare quella che, in ultima istanza, assorbirà la grande maggioranza delle risorse.
Se i nemici improvvisamente si rivelassero per quello che sono, dei competitori nel mercato mondiale, che hanno tutto l’interesse per il proprio sviluppo a mantenere la pace e relazioni equilibrate tra i diversi Paesi, il ricatto trumpiano verrebbe meno.
Le centinaia di miliardi che oggi ci chiede verrebbero spese in cultura, sanità, ricerca, tutela dell’ambiente; le relazioni commerciali si amplierebbero, senza sanzioni e senza impedimenti, a tutti i Paesi Brics e collegati; l’energia verrebbe acquistata dove costa meno e le imprese europee riacquisterebbero capacità competitive che stanno perdendo; una nuova politica economica e di relazioni multilaterali creerebbe le condizioni per aumentare le capacità di spesa all’interno di ogni singolo mercato nazionale e il benessere di tutti i cittadini lavoratori; i grandi conglomerati che lucrano sull’energia e sulle armi e quelli a loro collegati vedrebbero asciugarsi la proprie posizioni di rendita.
Dunque l’obiettivo fondamentale che oggi i popoli europei debbono porsi è quello di contrastare radicalmente ogni aumento di spesa militare rivelando il grande bluff che ci tiene incatenati all’Impero e che sta portando alla rovina dell’Europa. E’ vero, come ci dicono i vertici europei, che abbiamo un nemico esistenziale, ma questo nemico non è la Russia, bensì l’Impero a cui bisogna cominciare a non pagare più i tributi che ci impone e contro cui bisogna cominciare a organizzarsi. Orsini vagheggia un partito anti-americano: certamente questo non è il fine, ma potrebbe essere un inizio.

0 commenti