Di Claudio Grassi e Linda Santilli
Impossibile dare torto alla Cina quando pubblica l’elenco dei Paesi bombardati dagli Stati Uniti dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi: oltre 30 nazioni colpite in nome della “libertà” e della “democrazia”.
Vietnam, Iraq, Afghanistan, Libia, Jugoslavia, Laos, Iran, Yemen, Siria, Nicaragua, Panama, Sudan, Cuba, Pakistan, Somalia, solo per citarne alcuni.
Noi anime belle scattiamo a dire che è una provocazione cinica. Invece è una denuncia politica e morale. Perché la domanda vera è: chi è davvero la minaccia alla pace mondiale?
Siamo disposti a fare la fatica di ragionare attorno a questa domanda che l’Occidente non si pone e non pone e su cui i media, a cascata, tacciono?
Persino la sinistra – che dovrebbe smascherare il potere – troppo spesso ripete la propaganda imperiale, limitandosi a distinguere tra “buone intenzioni” occidentali e “regimi autoritari” da combattere.
Ma il nemico, lo sappiamo, non viene costruito sulla base dei diritti umani che viola , bensì sull’autonomia che impone.
Russia, Iran e Cina sono additati come nemici perché non obbediscono agli ordini degli Stati Uniti.
Putin non fa paura per come governa (lo si tollerava prima del 2014 nonostante fosse un autocrate maschilista di prim’ordine). Fa paura perché non si è piegato a fare della Russia una colonia dell’Impero USA come lo fu Elsin.
L’Iran non è nemico per il velo delle donne e i diritti loro negati, ma perché ha colpito Israele, fa da intralcio ai suoi piani, ed è punto di riferimento di un altro mondo.
La Cina non spaventa per la censura che vige al proprio interno (detto da noi fa ridere…), ma per la Belt and Road, per il suo modello di potenza alternativa, per la sua capacità di investire e influenzare senza passare dal dollaro.
Nel frattempo gli USA – paladini della democrazia – hanno distrutto paesi, provocato milioni di morti, installato 750 basi militari nel mondo, gestito colpi di stato, sostenuto dittature, seminato caos e instabilità ovunque.
Eppure mai una sanzione. Mai un tribunale internazionale. Mai un embargo economico per crimini di guerra.
Abbiamo capito non da ora che esiste un doppio standard.
Il punto non è difendere regimi autoritari, ma non essere complici dell’ipocrisia globale che divide il mondo in “buoni e cattivi” secondo convenienza geopolitica.
La cosa più drammatica è il ruolo di buona parte della sinistra. Ci sono verità scomode che quasi nessuno vuole dire. Le dicono alcune mosche bianche, le spiattellano in faccia Elena Basile, Moni Ovadia e poche altre e altri nostri compagni di strada, ma non i politici, non coloro che siedono in parlamento e rappresentano la sinistra istituzionale.
Esiste una sinistra che ha interiorizzato l’egemonia USA al punto da credere che la libertà possa passare dalle bombe o dal riarmo.
Una sinistra che non ha saputo leggere la guerra in Ucraina come conflitto indotto dalla NATO, né Gaza come conseguenza dell’impunità israeliana sostenuta da Washington e dall’Occidente. E che finalmente con lentezza elefantiaca arriva dopo due anni di montagne di morti e macerie a balbettare la parola genocidio, senza andare oltre la denuncia formale sui social, senza dire una parola sulla guerra in Ucraina. Senza dire che con la Russia bisogna dialogare. Che se la Nato non avesse abbaiato alle porte di Mosca non sarebbe scoppiata alcuna guerra in Ucraina.
Non sa dire una parola perché la Russia è il nemico. Nemico costruito a puntino in decenni di narrazione e propaganda.
Come ha scritto Gayatri Spivak, il potere coloniale non è solo militare, ma simbolico: decide cosa è umano, cosa è giusto, chi è degno di essere ascoltato.
A che cosa sono serviti l’insegnamento della femminista Bell Hooks che parla di “educazione all’ignoranza” come arma del privilegio bianco-occidentale? E quello di Silvia Federici che ci mostra come i corpi e i territori vengano colonizzati insieme, in nome della “civiltà”? E le analisi che ci hanno messo a disposizione Judith Butler e Maria Luisa Boccia su come viene costruito il nemico?
Ne abbiamo di pensiero e di elaborazione a cui attingere per capire come la colonizzazione degli immaginari è la premessa per ogni guerra: disumanizzare il nemico, assolvere le proprie violenze, e oggi più che mai – mentre altri mondi avanzano sulla scena – rendere impensabile un mondo multipolare.
E’ proprio questo che oggi si teme: la fine del mondo unipolare.
Che fare?
Il primo passo verso la pace è smettere di credere al racconto del potere ed avere il coraggio della verità.
La verità nuda e cruda, detta così, in faccia, senza temere di cozzare con l’indisponibilità ad accoglierla.
Non è la Russia che ha destabilizzato l’Europa: è la NATO che ha riscritto i confini a suo piacimento.
Non è l’Iran a minacciare l’ordine globale: è l’impunità di Israele sostenuta dagli USA a incendiare il Medio Oriente.
Non è la Cina a voler dominare: è l’Occidente che non accetta di non essere più il centro.
Siamo pronti a guardare questa verità in faccia?
A costruire una sinistra internazionale, decoloniale, capace di difendere i diritti ovunque – e non solo dove fa comodo?
Di una cosa dobbiamo essere certi: il coraggio della pace senza il coraggio della verità non serve, perché nessuna pace sarà possibile finché il pensiero resterà colonizzato.

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