Ago 6, 2025 | L'EDITORIALE

CHE LE PAROLE SIANO CONCRETE

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Qual è il valore delle parole di critica dei crimini compiuti da Israele a Gaza che si sentono – se pur tardive e deboli – in sedi istituzionali e sui media mainstream (mentre la voce dal basso, immediata, è stata inascoltata e criminalizzata)? È una inversione di rotta o l’ennesima mistificazione? Qual è il senso del riconoscimento dello stato di Palestina se non si ferma il massacro di chi dovrebbe abitarvi? Se non si cambia radicalmente la logica (di oppressione e colonialismo) che lo muove? È un primo passo o un’operazione di facciata?

Senza dubbio critiche e riconoscimenti arrivano tardi, troppo tardi per le decine di migliaia – persone e non numeri – di morti, civili, donne e bambini, per le bombe e per la fame usata come arma di guerra; dopo la dissoluzione dei legami familiari e sociali; dopo la distruzione delle infrastrutture, materiali, sociali e politiche; dopo la perdita del senso della propria dignità che la lotta per la sopravvivenza quotidiana comporta.
È il caso di dire tardi, ma finalmente? Sia chiaro: nulla giustifica il tempo, che ha macinato vite; ma possiamo pensare che il diritto e i diritti stiano facendo sentire la sua voce?

Consideriamo due vicende recenti: l’attacco a Francesca Albanese e il mancato accordo in Unione europea per sospendere Israele dal programma per la ricerca e l’innovazione Horizon Europe.

Sono fatti che mostrano come sia alto il rischio che le parole siano pura retorica, per salvare la “nostra” coscienza, o una sua parvenza; per mantenere intatto il volto di un Occidente del diritto e dei diritti (che, oltre ad essere in rapido declino, è sempre stato bifronte, coniugando dominio ed emancipazione).

Il timore è che siano parole false, destinate a restare deboli e inconseguenti, utili solo a mantenere intatto il dominio e l’immagine di un privilegio suprematista; che siano parole non nel nome dei diritti, ma per distorcere il senso di quanto sta accadendo, negando la complicità nel genocidio e nei crimini, di fronte al diritto e alla storia; che siano una menzogna per tacitare l’insofferenza silenziosa che forse stava iniziando a diffondersi.

È l’esperimento di un potere che coniuga la violenza feroce (praticata, sostenuta, tollerata) con bugie caritatevoli, pronte ad essere accolte da società disgregate e passive? Ricordiamo anche il trattamento riservato ai migranti, ai fragili, ai dissenzienti.
Gli Stati, come l’Unione europea, hanno la forza – una forza entro il diritto e che il diritto prevede ed esige – per intervenire: rescindere gli accordi di collaborazione per violazione dei diritti umani; non trasferire o vendere (in via diretta e indiretta) armi; adottare sanzioni economiche; rendere effettive le risoluzioni e la presenza dell’Onu. Le parole devono essere accompagnate dai fatti. Altrimenti non solo sono tardive, per chi non c’è più, per chi porterà per sempre i segni su di sé, per una società distrutta; ma non fermeranno altri orrori. In questione è la sopravvivenza concreta delle persone a Gaza (e in Cisgiordania), che continuano a morire; in questione, perché il genocidio sotto gli occhi del mondo del popolo palestinese legittima i crimini più efferati su tutti gli eccedenti del mondo, è la vita di molte e molti che vivono ai margini.
In questione è il senso del diritto, dei diritti, dell’uguaglianza, il senso dell’umano; vorrei si comprendesse: non come discorso astratto e non come affermazione autoreferenziale (stiamo perdendo i nostri diritti e noi stessi): di vite concrete si discorre, presenti e future, di dignità delle esistenze, di tutte le esistenze. Come possono essere presente e futuro dell’umanità, se si convive con l’uccisione di persone (bambini) in fila per il pane? L’uomo è sempre stato quello che uccide, «dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura» (Quasimodo), ma è stato ed è anche altro.

Questo per sottolineare che non si intende certo affossare la speranza, o chiudersi in una critica cieca ai cambiamenti che possono avvenire, o in un pessimismo disfattista nei confronti del diritto e dei diritti, ma proprio perché si vuole che la speranza sia concreta, che diritto e diritti siano effettivi e reali, è necessario esigere che abbiano delle gambe solide per camminare, che camminino.

Esigiamo che alle parole seguano fatti, fatti concreti: rescissioni di accordi, sanzioni economiche,sanzioni applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dei provvedimenti degli organi di giustizia internazionale. Sempre continuando la lotta dal basso, con gli strumenti che abbiamo: informazione, denuncia, mobilitazione, boicottaggio.

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