Dic 6, 2025 | Articoli, In evidenza

TUTTE LE MANINE NATO CONTRO LA RUSSIA

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La  guerra in Ucraina è il culmine di un crollo trentennale dell’ordine di sicurezza europeo.

Lungi dall’essere inevitabile o predeterminata, è nata da uno smantellamento sistematico dei principi che hanno radicato l’accordo post Guerra Fredda: la neutralità degli Stati posizionati tra blocchi militari, l’impegno di Usa e Germania a non espandere la Nato verso Est, nell’ex sfera sovietica, e la dottrina dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) secondo cui la sicurezza deve esser indivisibile, ovvero che nessuno Stato può rafforzare la sicurezza a scapito di un altro.

Contrariamente alle narrazioni occidentali dominanti che descrivono la Russia come l’aggressore unilaterale, è assodato che le successive amministrazioni statunitensi, supportate nei momenti chiave dall’Ue, hanno allontanato l’Ucraina dalla sua neutralità costituzionalmente sancita, trascinandola in uno scontro geopolitico. In diversi momenti – dal 1990, 1994, 2008, 2014, 2015, 2021 e 2022 fino a oggi – sono esistite esplicite vie diplomatiche (exit ramps) che avrebbero potuto garantire la sovranità dell’Ucraina, proteggere la sicurezza europea e impedire la guerra. Ogni volta, sono state respinte dall’Occidente.

Quando l’Ucraina ottenne l’indipendenza nel 1991, la neutralità fu un pilastro dell’accordo politico. La Dichiarazione di Sovranità Statale del 1990 affermava che il Paese intendeva esser uno “Stato permanentemente neutrale” che non si sarebbe unito a blocchi militari. Tale principio divenne legge: l’articolo 18 della Costituzione del 1996, impegna lo Stato alla neutralità e al non allineamento. L’opinione pubblica ucraina rafforzò tale posizione. Dagli anni 90 fino a inizi 2014, la maggioranza s’è sempre opposta all’adesione alla Nato.

Dal 1989 al 1991, i leader occidentali hanno ripetutamente assicurato ai funzionari sovietici che la Nato non si sarebbe espansa verso Est se Mosca avesse accettato la riunificazione tedesca, come ben documentato in archivi declassificati. Il 9 febbraio 1990, il segretario di Stato americano Baker disse a Gorbaciov: “La giurisdizione della Nato non si sposterà di un pollice verso Est”. Il ministro degli Esteri tedesco Genscher dichiarò nel gennaio 1990: “Non ci sarà un’espansione del territorio della Nato verso Est”.

L’Atto finale di Helsinki (1975) e la Carta di Parigi (1990) stabilivano che la sicurezza in Europa doveva esser collettiva, non a somma zero. La Carta per la sicurezza europea dell’Osce del 1999 riaffermò: “Nessuno Stato… accrescerà la propria sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati”. L’allargamento, in particolare in Ucraina, violava tale principio.

Nel 1994, l’Ucraina restituì alla Russia il controllo dell’arsenale nucleare di epoca sovietica in base al Memorandum di Budapest, in un contesto di sicurezza definito da tre condizioni: 1) l’Ucraina sarebbe rimasta neutrale 2) la Nato non si sarebbe espansa verso l’Ucraina 3) la sicurezza europea si sarebbe basata sui principi dell’Osce, non sulla politica di blocco.

(…) La tragedia è che, col passare degli anni 90, la strategia statunitense s’è conformata alla logica articolata da Brzezinski ne La grande scacchiera (1997): “Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico”. “Se Mosca riprende il controllo dell’Ucraina… la Russia riacquista i mezzi per diventare un potente Stato imperiale”. Tale pensiero ha da allora plasmato la prospettiva strategica statunitense. L’obiettivo era quindi quello d’incorporare l’Ucraina nella Nato.

(…) Nel 2004, Usa e Ue sostennero la Rivoluzione arancione, fornendo assistenza finanziaria a gruppi della società civile attraverso il National Endowment for Democracy, Usaid e varie fondazioni. (…) Poi, nel 2008, al vertice Nato di Bucarest, e nonostante la forte opposizione di Germania e Francia, gli Usa costrinsero la Nato a dichiarare: “Ucraina e Georgia diventeranno membri”. La cancelliera tedesca Merkel ammise poi: “Dal punto di vista ucraino, questa sarebbe stata una dichiarazione di guerra [per Putin]”. Ma l’opinione pubblica rimase in larga maggioranza contraria all’adesione: il candidato presidenziale Viktor Yanukovich vinse le elezioni del 2009/10 su una piattaforma di neutralità e la sua amministrazione approvò una legge che codificava l’Ucraina come Stato non appartenente al blocco.

Tuttavia, le forze pro-Nato in Ucraina e Occidente videro l’opportunità quando nel 2013 Yanukovich rinviò la firma d’un accordo d’associazione con l’Ue, che scatenò proteste di massa alimentate dagli Usa. L’apparato statunitense per il cambio di regime entrò in azione. (…) Il 21 febbraio 2014 la Ue mediò un accordo con Yanukovich, basato su riforme costituzionali, governo d’unità nazionale ed elezioni anticipate. Invece, nel giro di poche ore, gruppi armati occuparono edifici governativi e Yanukovich fuggì, ma certo non si dimise. Il Parlamento lo rimosse senza procedure costituzionali e gli Usa diedero il sostegno al regime di fatto: l’Ue rimase in silenzio e lasciò che il deep State statunitense prendesse il comando.

Il nuovo governo adottò politiche nazionaliste e dichiarò un’operazione militare “antiterrorismo” contro le proteste nelle regioni orientali etnicamente russe. Ciò militarizzò una disputa politica e rese impossibile un compromesso. La nuova classe politica iniziò a parlare d’espellere la Russia dalla sua base navale in Crimea. Alla fine, la Russia s’impossessò della Crimea, adducendo preoccupazioni per la sicurezza nazionale relative alla Flotta del Mar Nero.

Per fermare i combattimenti a Est, la Russia contribuì a mediare l’accordo di Minsk II. Tale intesa, approvata all’unanimità dalla risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza, prevedeva un cessate il fuoco, l’autonomia (“status speciale”) per Donetsk e Lugansk, riforme costituzionali per proteggere la minoranza etnica russa e il ritiro delle armi pesanti. L’Ucraina si rifiutò di attuare l’accordo, soprattutto l’autonomia per il Donbass. La Merkel ammise poi che l’accordo aveva lo scopo di “dare tempo all’Ucraina” per rafforzare la propria forza militare.

(…) Tra il 2015 e il 2021, l’Ucraina è divenuta di fatto un partner Nato, grazie a esercitazioni congiunte, nuove strutture di comando conformi agli standard dell’Alleanza, missioni di addestramento tra Usa e Regno Unito, integrazione dell’intelligence e, soprattutto, miliardi di dollari in trasferimenti di armi. Nel 2021, l’Ucraina aveva il più grande esercito d’Europa al di fuori della Russia.

Nel dicembre 2021, la Russia ha presentato due bozze di trattato, una per gli Usa e l’altra per l’Ue, invitando l’Occidente a rinunciare all’adesione dell’Ucraina alla Nato, ritirare le armi Nato dai confini russi, tornare ai livelli di dispiegamento del 1997 e ripristinare i principi di sicurezza indivisibili dell’Osce.

Gli Usa si sono rifiutati di negoziare con la Russia sull’allargamento sostenendo che la “politica delle porte aperte” della Nato non fosse affar suo. Il fallimento del tentativo ha portato la Russia a lanciare l’Operazione militare speciale (Smo). Nel 2023, il Segretario generale Nato Stoltenberg ha così riassunto la situazione: “Il contesto era che Putin, nell’autunno 2021, aveva dichiarato, e di fatto inviato, una bozza di trattato che voleva che la Nato firmasse, di promettere che non ci sarebbe stato un ulteriore allargamento. Era una precondizione per non invadere l’Ucraina. Ovviamente non l’abbiamo firmato… Così è andato in guerra per impedire alla Nato di avvicinarsi ai suoi confini. Ha ottenuto l’esatto opposto”.

(…) In breve, la guerra in Ucraina non è stata il risultato di antichi odi o un improvviso atto d’aggressione, bensì il risultato prevedibile d’una serie di decisioni di Usa e Ue che hanno smantellato la neutralità ucraina, respinto la diplomazia con la Russia e subordinato la sicurezza dell’Ucraina a una fallimentare strategia geopolitica occidentale. Una soluzione duratura alla guerra richiede un ritorno ai principi che hanno guidato il periodo successivo alla Guerra Fredda: la neutralità dell’Ucraina, la sicurezza indivisibile dell’Europa e una vera diplomazia tra Ue e Russia.

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