Dic 6, 2025 | Articoli, In evidenza

L’EUROPA DEVE ACCETTARE CHE C’E’ UN NUOVO MONDO

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Nel suo saggio del 1992, “La fine della storia e l’ultimo uomo”, il politologo Francis Fukuyama sosteneva che, con la sconfitta dei suoi due principali rivali – il fascismo e il comunismo – la democrazia liberale si sarebbe affermata come modello definitivo per l’organizzazione politica degli Stati, l’economia di mercato come struttura economica predominante e i valori occidentali come riferimento etico universale.
Secondo questa visione, tali pilastri non avrebbero più incontrato concorrenti significativi, sancendo di fatto il celebre motto di Margaret Thatcher: “There is no alternative”.
Su queste premesse si è sviluppato anche il progetto europeo.

Oggi, però, quei valori occidentali – già incrinati dalle numerose guerre combattute per “esportare la democrazia” – appaiono in frantumi, come le macerie di Gaza. L’economia di mercato è stata strangolata dalla crescente concentrazione del potere economico, generando disuguaglianze inimmaginabili e insormontabili fino a svuotare di senso lo stesso esercizio del voto: nelle democrazie occidentali, le elezioni sono sempre più percepite come una routine sterile, incapace di generare cambiamenti reali, e per questo disertate da una quota crescente di cittadini.
Il progetto europeo, nato su quelle premesse, mostra oggi tutta la sua fragilità.
L’Europa appare come un insieme disomogeneo di Stati, con interessi e visioni troppo divergenti per dar vita a un autentico progetto politico, economico ed etico comune.

La guerra in Ucraina, anziché agire da collante, ha accentuato le divisioni, diventando una forza centrifuga.
Alla tragedia del conflitto si è aggiunto un drammatico aumento del costo dell’energia, che ha escluso la manifattura europea dalla competizione globale.
Non stupisce, dunque, che molti osservatori vedano nella rottura del legame tra Germania e Russia – fondato sull’interscambio tra energia a basso costo e tecnologia avanzata – uno degli obiettivi strategici perseguiti da alcuni attori internazionali.
Oggi l’Europa si ritrova priva di energia a buon mercato e, ancor più gravemente, di autonomia tecnologica che si è persa nei labirinti burocratici di Bruxelles.
Persino l’approvvigionamento delle materie prime essenziali allo sviluppo industriale, come le terre rare, è diventato complesso e incerto.

Di fronte a queste sfide strutturali, il primo passo è un cambio di paradigma culturale: una rivoluzione copernicana che impone di riconoscere che il baricentro del mondo si è spostato a Oriente; che gli Stati Uniti perseguono innanzitutto i propri interessi; e che l’Europa, se non supererà questo trauma psicologico, rischia un lungo periodo di marginalità.
La Rivoluzione copernicana richiese secoli per abbandonare l’illusione dell’uomo al centro dell’universo; oggi serve uno sforzo analogo, ma in tempi molto più rapidi.
Il centro scientifico e tecnologico globale si è ormai spostato verso est, e l’unica traiettoria di sviluppo realistico passa attraverso l’ecosistema economico cinese, soprattutto nei settori strategici del solare e della mobilità elettrica.
In questi campi, la Cina ha superato il resto del mondo grazie a investimenti di lungo periodo che hanno coinvolto l’intera filiera – dall’accesso alle materie prime alla formazione di scienziati e ingegneri, fino alla creazione di un sistema industriale altamente competitivo – e oggi il paese è leader nelle tecnologie ambientali, con quasi il 30% delle innovazioni globali a fronte del 15% di Europa e Usa.

Questo risultato è stato possibile grazie a un modello che combina la libera concorrenza tra imprese con una direzione strategica definita dallo Stato.

Come sottolinea Pino Arlacchi nel saggio “La Cina spiegata all’Occidente”, sono questi i fattori che hanno permesso di ridurre del 90% il costo di batterie e pannelli solari in meno di 15 anni.
Una volta saturato il mercato interno, le aziende cinesi hanno iniziato a esportare nei paesi in via di sviluppo ad alto consumo energetico, favorendo l’espansione delle rinnovabili in Brasile, India e Vietnam, e il passaggio all’elettrico in paesi più poveri come Etiopia e Nepal.
Questo non risolve subito la crisi climatica, poiché la maggior parte dell’energia proviene ancora da fonti fossili.
Tuttavia, il crollo dei prezzi della tecnologia cinese sta rendendo possibile una transizione alle rinnovabili che dieci anni fa era impensabile.
Una luce fioca si intravede in fondo a un tunnel ancora lungo e oscuro.
Ed è proprio da questo confronto che occorre ripensare il cuore del nostro sistema: un modello incentrato su investimenti a rendimento immediato non può affrontare sfide che richiedono ricerca, innovazione e pianificazione di lungo periodo.
Finché non cambieremo questa logica, continueremo a inseguire il futuro invece di costruirlo.

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