di Francesco Sylos Labini

«Il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire e in questo chiaroscuro nascono i mostri».
Questa frase di Antonio Gramsci coglie molto bene l’essenza del momento storico in cui ci troviamo. Invece che alla “fine della storia” abbiamo assistito all’apertura del vaso di Pandora da cui sono fuoriusciti i mostri che popolano l’incubo attuale.
Jeffrey Sachs dall’inizio della guerra in Ucraina è stato un riferimento imprescindibile per capirne le ragioni e sembra attualizzare un personaggio della novella di Calvino, “Tutto in un punto”, che racconta la sua storia, lui che era lì all’inizio del tempo e dello spazio quando è avvenuto il Big Bang.
Sachs è stato lì quando cominciò il Big Bang della nostra epoca perché si trovava nella sala del Cremlino quando Eltsin firmò il decreto di dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991.
Quello è stato uno spartiacque chiave della nostra epoca: basti pensare che nel 1991 “l’orologio della fine del mondo” segnava 17 minuti alla mezzanotte e nel 2024 ci separano solo 90 secondi dall’apocalisse atomica.
Come e perché questo capitale di pace che abbiamo ereditato nel 1991 è andato disperso è la storia dell’incubo in cui siamo immersi ora.
Per la Russia il 1991 ha segnato l’inizio di una tragedia che è durata 10 anni durante i quali il Pil per persona è diminuito del 40% per poi risalire con l’avvento di Putin al potere (e oggi è aumentato del 30% rispetto a quello del ’91).
In Occidente è invece iniziata una crescita consistente del numero di miliardari e della loro ricchezza. Crescita sempre più accelerata tanto che oggi le ottantacinque persone più ricche del mondo hanno la stessa ricchezza del
resto 99% della popolazione del pianeta: siamo entrati nell’età delle grandi e insormontabili disuguaglianze.
Agli inizi degli anni novanta è avvenuto un altro fatto fondamentale: da quegli anni in poi si è assistito all’ascesa della Cina.
Il Pil per persona dal 1990 a oggi è cresciuto di 13 volte e il Pil totale della Cina ha ora superato quello degli Stati Uniti in termini di parità di potere di acquisto.
Inoltre, il combinato dei Pil dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ha superato quello dei paesi del G7 che nel 1991 erano i paesi più industrializzati e ricchi del mondo (tra cui, incredibilmente, il nostro).
I Brics hanno
oggi il 45% della popolazione del mondo e producono il 40% del petrolio e il loro contributo alla crescita economica mondiale è del 44% contro il 20% del G7.
Diversi autori hanno messo in evidenza che l’ascesa di una grande potenza industriale come la Cina avrebbe potuto entrare in rotta di collisione con l’unica potenza egemone rimasta dal 1991, gli Stati Uniti.
Questa, in particolare, è la tesi di John Mearsheimer nel suo saggio “La tragedia delle grandi potenze” secondo la quale le grandi potenze lottano per essere egemoni e questo comporta una perpetua competizione e tensione militare.
In realtà la visione di Mearsheimer è molto adatta a interpretare la politica estera americana, ma forse meno adatta a spiegare la politica estera cinese.
Com’è infatti sostenuto, tra gli altri, da Kishore Mahbubani, ambasciatore di Singapore presso le Nazioni Unite, i cinesi ragionano in maniera differente dagli occidentali.
Per esempio, gli Stati Uniti hanno 750 basi militari all’estero in 80 paesi con 170.000 soldati, mentre la Cina ha una sola base militare fuori dal suo territorio, a Gibuti.
Inoltre, negli ultimi quarant’anni la Cina non è mai stata coinvolta in nessun conflitto militare, mentre gli
Stati Uniti in più di dieci.
Il 1991 è stato anche l’anno in cui qualcosa di fondamentale è cambiato: la temperatura globale, la cui crescita è da allora sempre più veloce.
Questo è successo in quanto la Cina, seguita poi anche dall’India e dagli altri paesi che si stanno affacciando ora sulla via dell’industrializzazione, ha iniziato a emettere in maniera intensiva gas serra.
Oggi la Cina è il maggiore produttore mondiale di gas serra ma il primato di emissione per persona spetta ancora agli Usa, che hanno emesso anche, nella storia, il doppio di gas serra
della Cina pur avendo un quinto della popolazione.
La criticità tra sviluppo e natura consiste nel fatto che esiste una correlazione tra la quantità di gas serra presente nell’atmosfera e la temperatura globale: più si consumano combustibili fossili e più aumenta la temperatura globale. Inoltre, considerando la distribuzione di gas serra si osserva che il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 50% delle emissioni, mentre il 50% più povero è responsabile dell’8% delle emissioni.
Il problema politico di
fronte al quale ci troviamo oggi è che a mano a mano che i paesi si sviluppano e quindi aumenta il loro Pil per persona, aumenta anche l’emissione per persona di gas serra: questo pone un problema di sostenibilità globale dello sviluppo dei paesi, un problema di giustizia climatica tra i paesi e un problema di limiti dello sviluppo dato che le risorse sono finite.
Oggi, la Cina non solo ha il Pil più grande del mondo ma soprattutto la quota della manifattura cinese è pari a quella degli Usa e dell’Europa messe insieme; la Cina è diventata il maggiore esportatore di automobili elettriche e tradizionali, maggior produttore di panelli solari, e ha un consumo
di energia e una produzione di acciaio in continua crescita.
Negli ultimi trent’anni sono state costruite intere città con grattacieli e metropolitane, è stata sviluppata una gigantesca rete di treni ad alta velocità e oggi per ogni nave costruita in America in Cina ne vengono costruite 250.
Soprattutto la Cina è diventata leader nei brevetti in quasi tutti i settori tecnologicamente avanzati grazie alla crescente spesa in ricerca e sviluppo.
Inoltre, oggi è in testa per quanto riguarda gli articoli scientifici, nelle classifiche delle istituzioni accademiche, per la quota di laureati nelle materie tecnico-scientifiche e per l’esportazione di prodotti ad alta tecnologia.
Questa situazione pone un problema nuovo agli Stati Uniti perché stanno perdendo il ruolo egemonico che hanno avuto dal crollo dell’Urss. Nel 1948 George Kennan, l’artefice della politica estera americana durante la guerra fredda, sosteneva che gli Usa avevano il 50% della ricchezza e solo il 6% della popolazione: l’obiettivo principale della politica Usa è sempre stato quello di mantenere questa disparità.
Guardando a quanto avviene oggi nel
mondo con questa prospettiva e considerando i limiti intrinseci delle risorse del nostro pianeta, si possono individuare facilmente i motivi delle guerre e delle tensioni: la Russia con le sue immense ricchezze naturali, la Cina, potenza scientifica e tecnologica con la più grande industria manifatturiera del mondo, il Medio Oriente dove si trovano le maggiori risorse energetiche del mondo.
La competizione per l’egemonia crea polarizzazione con la conseguente inefficacia del multilateralismo, bloccato da tensioni geopolitiche e non in grado di risolvere le sfide odierne.
Per esempio, la soluzione della crisi climatica non può che passare per un accordo internazionale che oggi appare impossibile da raggiungere.
Come risultato, vediamo un assurdo ricorso all’armamento e l’aumento della mentalità di guerra e delle spese militari.
Il 1991 ha segnato anche l’anno di una accelerazione nella crescita del debito pubblico americano e negli interessi che devono essere pagati: proprio l’anno scorso il debito è arrivato a 35 trilioni di dollari e gli interessi a un trilione di dollari. Come questo sia sostenibile chiaramente è il problema fondamentale che riguarda “l’esorbitante privilegio” del dollaro come valuta di riserva del mondo e come moneta principale per gli scambi commerciali internazionali.
Infine, il trentennio unipolare a guida Usa è
stato caratterizzato da un ruolo sempre più marginale dell’Onu e delle leggi internazionali.
Nel febbraio del 2022 il piano dei paesi occidentali non era quello di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia ma di sconfiggerla attraverso le sanzioni economiche: la Russia aveva il 5% del Pil e circa il 5% della spesa militare dei paesi Nato, quindi, era considerata, a torto, «una stazione di gas con armi nucleari» che le sanzioni economiche avrebbero potuto piegare in poco tempo.
In realtà la Russia ha retto molto bene alle sanzioni economiche perché si era preparata da tempo, per le enormi risorse naturali e grazie al fatto che la gran parte del mondo non ha aderito alle sanzioni.
Oggi ha un’economia in espansione a differenza di quella europea. Questo malgrado sia stato fatto esplodere il gasdotto Nord Stream. Il risultato è che nell’UE l’energia costa 4/5 volte più che negli Usa, fatto che ha messo in crisi l’industria europea.
Per riassumere, le tensioni attuali sono dovute alla lotta per il controllo delle (scarse) risorse naturali, per il controllo della scienza e della tecnologia e per il controllo della moneta per gli scambi commerciali, con l’ingente debito pubblico americano.
Quello che tutti quanti noi ci chiediamo è dove sia finito il sogno americano. Dov’è l’America che doveva essere la città luminosa sopra la collina?
Dove è finita l’età della ragione che sembrava guidarci da oltre due secoli?
E soprattutto: cosa dobbiamo fare per
evitare la catastrofe? Queste sono alcune delle domande che incombono sulla nostra epoca.
Fonte: “Il Ponte” – Rivista di politica economia e cultura fondata da Piero Calamandrei

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