di Paolo Brutti

Intervento all’incontro L’altro lato del mondo, promosso da Disarma, Sesto Fiorentino, 26 settembre 2025
Questo che stiamo vivendo è il tempo del declino dell’Occidente. Paesi grandi come continenti si fanno largo, alcuni da soli salgono ai vertici dell’economia mondiale, e non accettano che l’Occidente usi la guerra, distruggendo quello che resta dello stesso concetto di diritto internazionale, per continuare a imporre la sua egemonia.
Il mondo non è più quello uscito dalla Seconda guerra mondiale, con l’America intatta e trionfante, nel pieno della sua forza industriale, e il resto del mondo distrutto. Allora gli USA produssero la grande idea dell’ONU e gli accordi di Bretton Woods per costruire le nuove architetture economiche del mondo e per rigenerare il mercato dei paesi alleati.
Oggi lo stesso paese, dopo innumerevoli guerre per la conservazione del suo predominio, presenta un debito insostenibile, di cui è responsabile anche la sua natura di impero militare, senza più base manifatturiera, con una ricchezza finanziaria enorme che non genera sviluppo, con la sua classe media impoverita e la povertà che supera il 10% della popolazione in quello che è ancora il paese più ricco del pianeta.
Di fronte a loro, il Sud del mondo manifesta una nuova consapevolezza geostrategica, come dice Pietro Bevilacqua nel suo articolo “Perché l’Occidente non guiderà la storia del mondo”.
Ascesa e struttura dei BRICS
Quando, nel settembre 2006, ai margini dell’Assemblea generale dell’ONU, i ministri degli Esteri di Brasile, Russia, India e Cina diedero vita a un coordinamento diplomatico informale tra i loro paesi, in rapida crescita economica e che cinque anni prima un economista della Goldman Sachs aveva denominato BRIC, prevedendo per loro un fulgido avvenire economico, nessuno immaginava che nel 2025, a Pechino, questo raggruppamento si sarebbe presentato ben strutturato e comprendente 34 paesi, più un consistente numero di paesi in attesa di essere inseriti.
Essi superano per abitanti e forza economica l’intero complesso dei paesi del cosiddetto Occidente, rappresentati nel G7. Il PIL a parità di potere di acquisto supera il 36% del PIL mondiale, contro il 30% del G7, controllano il 41% della produzione mondiale di petrolio (G7: 29%), rappresentano il 44% della crescita globale (G7: 20%) e il 45% della popolazione globale (G7: 30%).
Gli economisti occidentali hanno visto sempre i BRICS, diventati tali per l’adesione del Sudafrica, come un raggruppamento eterogeneo e, secondo lo schema di riferimento dell’Occidente basato sui blocchi economici contrapposti, non capace di creare un problema di egemonia all’Occidente a guida americana.
Non si è compresa la portata della dichiarazione conclusiva del summit di Ekaterinburg, che fissava il ruolo dei BRICS a favore dell’instaurazione di un nuovo ordine mondiale multipolare. La crisi del sistema finanziario americano del 2008 e le misure unilaterali prese dagli USA per fronteggiarlo, nonostante il ruolo dei BRICS per salvaguardarlo, e in particolare quello della Cina, hanno convinto i BRICS a intraprenderne un’azione decisa per modificare l’architettura del sistema finanziario internazionale, allo scopo di ridurre il ruolo che vi svolgeva il dollaro, diminuire il rischio di riflusso degli investimenti diretti esteri, diminuire l’impatto della fine della stimolazione monetaria degli USA, aumentare la resistenza alle fughe di capitali e fare fronte a eventuali strategie sanzionatorie esterne.
Una crisi dei rapporti con il FMI ha convinto i BRICS a creare una nuova banca di sviluppo per finanziare progetti infrastrutturali di sviluppo nei paesi emergenti e un fondo di molti miliardi per fronteggiare crisi di liquidità.
Non appena compiuta questa scelta, i BRICS sono diventati un nemico. L’America di Trump, che aveva cessato il ruolo di compratore generale del sistema, non ha per nulla accettato che il dollaro perda la sua primazia come moneta di riferimento degli scambi internazionali. Trump, non appena ha fiutato questa possibile scelta dei BRICS, non ha esitato a brandire la minaccia dei superdazi e persino dell’intervento militare.
L’Europa ha dichiarato che i BRICS sono diventati lo schieramento anti-occidentale e ha sostenuto che non sono altro che un gruppo di paesi ormai egemonizzati dalla Cina e dalla Russia, contraddicendo ciò che aveva sostenuto fin ad allora sull’eterogeneità dei BRICS.
Quello che non hanno capito è che ciò che li unifica è la forte guida di un potere statale che ha restituito sovranità alla politica.
Oltre a questo, gioca completamente a loro favore il fattore demografico. Sono paesi giovani, i cui giovani non sono allo sbando, ma sono assistiti da un sistema di istruzione molto strutturato, che sforna professionalità che riempiono l’intero spettro del mercato del lavoro, dalle competenze necessarie per l’industria manifatturiera a quelle che li inseriscono direttamente nelle attività avanzate dell’alta tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale.
Questo enorme esercito di giovani studia, lavora e spesso compie lunghi periodi di tirocinio nelle imprese e nella ricerca negli stessi Stati Uniti, in modo tale che le informazioni circolano e l’atteggiamento bellicistico degli USA non può andare oltre una certa misura, pena la perdita di cervelli e di professionalità che fanno funzionare lo stesso sistema americano. Il caso di Taiwan e dei chip con superprestazioni è eclatante.
La operazione militare speciale avviata dalla Russia in Ucraina nel 2022 ha aperto una nuova fase della storia. Tutto è apparso irrimediabilmente invecchiato. Il nostro compagno D’Agostino usa una frase di Gramsci per definire questo tempo: un tempo che genera mostri. Cosa sono Biden, Trump, Netanyahu, e i “mostriciattoli” Merz, Starmer, Macron, Rutte, Kallas, Meloni e i loro cantori italiani Mieli, Molinari, Cerasa, Giannini, Fubini, Rampini, Riotta?
Le presidenze democratiche degli USA, da Obama a Biden, e anche Trump nel suo primo mandato, hanno ridefinito il loro atteggiamento verso la Cina dopo la crisi del 2008, considerata ormai avversario strategico, e hanno temuto un avvicinamento dell’Europa alla Russia, dopo le aperture di Putin al G8. Spinti dal grande capitalismo finanziario, consapevole della progressiva insostenibilità del deficit degli USA, hanno scelto la via della guerra per ritrovare su questo terreno l’egemonia che gli sfuggiva sul piano economico.
Hanno operato perché il confronto militare avvenisse in Europa, completando l’accerchiamento della Russia da parte della NATO e forzando l’ingresso della Ucraina nell’alleanza atlantica, consapevoli che questo avrebbe portato la Russia al punto di rottura.
Di fronte al bellicismo del capitalismo occidentale, tutti i paesi dei BRICS si sono riunificati sotto la bandiera della pace. Quelli non convinti, dall’Argentina di Milei all’Algeria sensibile alle posizioni della Francia e la stessa Arabia Saudita, si sono ritirati dal gruppo dei paesi BRICS. La posizione sul multilateralismo e sulla pace è diventata indivisibile.
La operazione militare speciale della Russia fu avviata come risposta alle minacce di guerra che gli USA e la NATO non nascondevano di portare avanti tramite l’Ucraina, e come mezzo per dare il massimo sostegno al multilateralismo dei BRICS contro l’unilateralismo occidentale. Per questo motivo il rapporto Russia-Cina si è rafforzato, diventando un’alleanza economica e di assistenza militare, anche contro le sanzioni.
Nessuno dei paesi dei BRICS ha preso le distanze dall’operazione speciale in Ucraina, segno che ne era stato ben compreso il motivo di fondo.
La guerra in Ucraina è stata persa dalla NATO. La predominanza strategica e militare della Russia probabilmente risolverà il conflitto con lo schianto dell’esercito ucraino. Non avrà una soluzione diplomatica e non finirà presto.
L’America si voleva disimpegnare per alleggerirne il peso economico, e ora che ha ottenuto che gli aiuti militari siano pagati dall’Europa, ha assunto un atteggiamento ondivago e svagato. Ciò che è vero è che gli USA sono divorati da uno scontro interno che preannuncia quasi una guerra civile. La profezia cinese secondo cui l’America si sarebbe divorata da sola non si è ancora avverata, ma è vero il progressivo disinteresse degli USA dalla politica internazionale.
Tutto ciò ha fatto un primo caduto importante: la democrazia liberale. Il punto di forza della democrazia liberale era che tutti potevano concorrere al governo del paese e che questo era garantito anche dopo una sconfitta. Tutti ci siamo cullati in questa aspettativa, anche se la storia ci aveva messo di fronte a prove che dimostravano che la democrazia liberale vive solo se non consente un cambiamento di sistema economico e di base sociale dello stesso sistema. Questa identificazione tra democrazia e mercato capitalistico è stata anche proposta in via teorica come articolo esplicito della Costituzione. La nostra stessa Costituzione ne ha tracce, ma sono stati gli USA a porsi come tutori generali del capitalismo dai rischi cui lo esponeva l’uguaglianza di diritti politici e sociali.
La stessa recente storia italiana ne è segnata: dal delitto Moro, al terrorismo, allo stragismo di Stato. La sinistra italiana è stata troppo fiduciosa del fatto che la democrazia avrebbe consentito modifiche strutturali del capitalismo. La storia ha dimostrato che ciò non è affatto garantito; anzi, è garantito il contrario.
Ma ecco il punto: se gli USA si chiudono nel loro recinto, magari inteso come continente americano (si guardi all’intervento stonato e maldestro di Trump in difesa di Bolsonaro, che una volta avrebbe avuto per il Brasile lo stesso effetto delle parole di Kissinger su Allende), se la divisione interna assume i caratteri di uno scontro tra suprematismo (cristiano, puritano e biblico) e laicismo cosmopolita del capitale finanziario (secondo il principio che qui, in questo paese delle libertà, tutto si compra, anche la libertà, e se non hai denaro non hai nemmeno la libertà), chi può risollevare la bandiera della democrazia, contro il mondo che si allinea dietro i BRICS, fatti di autocrazie e dittature, come continuano a ripetere i cantori dell’Occidente su tutti i mezzi di informazione?
Su questo punto è definitivamente morta la sinistra europea e italiana. Si è divisa tra chi ha subito risposto a quella domanda: “Ma è l’Europa”, portando con sé che ciò vuol dire guerra, la Russia nemico storico, l’Europa antemurale della Russia (come purtroppo è scritto nel Manifesto di Ventotene), il riarmo dell’Europa, il bellicismo dell’Europa e, da ultimo, il rinvigorirsi dell’idea dell’Europa a trazione tedesca e dei paesi del Baltico.
Nella sostanziale a-democrazia che caratterizza il processo decisionale europeo, i poteri reali che gestiscono questa situazione si sono convinti che una nuova Europa nascerà non con lunghe e incerte trattative intergovernative, ma se si darà all’Europa un ruolo che essa non ha avuto: quello di sistema militare autonomo, con un nemico ben precisato e vicino, la Russia, e con una tensione ai suoi confini che superi nella risposta militare la debolezza decisionale dell’Europa.
È l’idea di von der Leyen, di Draghi e di Letta: trasformare l’Europa in un impero militarmente autonomo anche dagli USA, in attesa che i dem-neocon tornino a governare gli USA. Una scelta di questo genere porta a compimento anche in Europa il processo di completa privatizzazione della politica, come già avvenuto negli USA. Il complesso militare-industriale europeo farebbe propri anche i poteri politici pubblici e perderebbe qualsiasi visione generale.
In un quadro come quello descritto, la sinistra più consapevole europea e italiana deve porsi una domanda fondamentale: l’Europa così com’è stata costruita ha un futuro? Con la sua situazione demografica, la perdita di due milioni di forza lavoro all’anno, con un rapporto tra attivi e pensionati che cammina verso 1 su 3, con la perdita di competitività che procede da oltre venti anni, con la Germania che ha accettato il crollo economico conseguente alla fine del gas a buon prezzo come conseguenza delle sanzioni alla Russia e il sabotaggio del gasdotto Nord Stream fatto dalla stessa Ucraina, e prontamente accettato pur di fare un favore agli USA, e la sua scelta di riarmarsi pur non avendone le risorse senza sacrificare il welfare europeo, questa Europa si sta facendo crollare il soffitto addosso e si seppellirà sotto le sue macerie.
Questo significa un cambio di prospettiva per la sinistra consapevole. Non si tratta di proporre una diversa politica con cui governare l’Europa, ma di cambiare la struttura e la funzione dell’Europa, sottraendola all’influsso perdente dei paesi del Baltico.
L’affermazione che deve risuonare nei parlamenti e nelle città europee, “La Russia non è un nemico”, deve diventare che solo un’Europa che vada dall’Atlantico agli Urali è l’unica possibilità per far tornare l’Europa a un livello di competitività accettabile e per farle giocare un ruolo geopolitico di collegamento con l’Asia e con l’Africa. Non ci sarebbero più guerre in Europa e si pacificherebbe anche la situazione dei paesi del Caucaso.
La stessa esperienza cinese, per molti considerata un unicamente irripetibile, potrebbe ispirare per l’Europa un modo di inserire organicamente l’imprenditorialità privata in un quadro di economia pianificata.
La prima conseguenza di questo modo di pensare è che la NATO non avrebbe più ragione di esistere, perché ha un ruolo contrario agli interessi europei. È un’organizzazione militare aggressiva che non deve più ricevere risorse dai paesi europei. Per l’Italia ciò significa la smobilitazione delle basi militari nucleari di Ghedi e di Aviano. Allo stesso modo, gli 800 miliardi di euro del programma “Rearm Europe” vanno impegnati nel welfare europeo, insieme al 5% del PIL europeo.
La stessa struttura economica e di finanza pubblica europea deve essere ripensata: dal ruolo della BCE, alla fiscalità comune, allo smantellamento dei paradisi fiscali, al sanzionamento delle imprese europee con residenza nei paradisi fiscali esteri. Le multinazionali americane devono pagare le tasse in Europa.
L’Europa deve abbandonare l’idea di una sua dipendenza essenziale dal mercato americano, iniziando a costruire un’economia volta alla domanda interna, che porterebbe più reddito ai lavoratori e alle piccole imprese. Deve rivolgere l’attenzione alla parte più dinamica del pianeta, cioè ai BRICS, con cui costruire un’alleanza strategica che guardi agli enormi progressi che soprattutto la Cina e l’India hanno fatto sulle frontiere dell’informatica e dell’IA. Questi paesi, da soli, producono più ricerca e innovazione ogni anno del resto del mondo.
Perché restare attaccati a un mondo che muore e ti trascina a fondo, invece che rivolgersi con coraggio e consapevolezza dei propri valori storici alla parte del mondo che sta crescendo in una visione di pace?
A noi piace, e la sinistra europea consapevole dovrebbe adottarlo, l’incipit del manifesto del nuovo partito di Corbyn:
“Il sistema è truccato. È truccato quando 4,5 milioni di bambini vivono in povertà nella sesta economia del mondo. È truccato quando enormi aziende fanno una fortuna con i rincari delle bollette. È truccato quando questo governo dice che non ci sono i soldi per i poveri, ma i miliardi per la guerra ci sono.”
Sta succedendo un fatto di grande importanza che chiude definitivamente il tempo della Reaganomics, quella che contro l’idea della colonna Yul-Mott fece prevalere l’idea della colonna guidata dai ricchi, che sgocciola risorse sui poveri. È stata un’idea vincente che ha accompagnato la crisi del sogno aperto dalle grandi lotte operaie degli anni successivi al ’68.
Oggi anche gli economisti di parte liberale affermano che la ricchezza dei paesi, anche in un regime fortemente capitalistico, non dipende dalla ricchezza, anche sterminata, di pochi, ma dalla sua diffusione e distribuzione.
Questa idea può essere levatrice di un nuovo ciclo di lotte sociali, di cui si sente ormai una quasi esistenziale necessità, e di cui i “moti” francesi sono una prefigurazione. Osservo, senza approfondire in questa sede, che sul terreno della lotta per il disfacimento dell’Europa di Maastricht si possono incontrare forze sociali di diversissima provenienza, che possono, per la loro estensione, diventare decisive.
Concludo qui, facendo mie le ultime parole dello scritto del professor Bevilacqua:
“Governanti, politici, media padronali, élite intellettuali hanno di fronte il più grande ostacolo della loro storia: nascondere le loro multiple sconfitte, convincere centinaia di milioni di europei della necessità di investire ingenti risorse in armamenti, di predisporsi alla guerra, di vivere negli anni a venire entro una bolla di minacce e di paura, senza che nessun nemico prema alle porte, senza che nessuno ci minacci . Perciò un fronte ben organizzato di forze progressiste (consapevoli aggiungerei io) li può seppellire…”.
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