Ago 25, 2025 | Articoli

MANDARE A GAZA I CASCHI BLU PER PROTEGGERE I PALESTINESI

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Essere ebreo è un “atout” formidabile oggi per intervenire nel pubblico dibattito sulla Palestina, ma certo non basta a proteggere dall’accusa logora, ma persistente, di “antisemitismo”. È accaduto anche a Richard Falk, una delle massime autorità del diritto internazionale, professore emerito alla Princeton University, già relatore delle Nazioni Unite sui diritti umani in Palestina. Ebbene, Falk ha spiegato che oggi esistono tutti i mezzi giuridicamente validi per avviare un’azione militare contro il governo israeliano e bloccare il criminale piano di distruzione della Palestina e del suo popolo, insomma fermare il genocidio. E farlo non con una brigata di “volenterosi”, ma attraverso l’Onu, dove c’è, come si sa, un ostacolo insormontabile rappresentato dal Consiglio di sicurezza, nel quale è impossibile far approvare una qualsiasi risoluzione contro Israele, un qualsivoglia “invito ” a rispettare i principi costitutivi delle Nazioni Unite, qualunque condanna di atti commessi contro i palestinesi, qualsiasi proposito volto a realizzare politiche genocidarie o di ethnic cleansing (“pulizia etnica”) per far posto ad altre popolazioni.

Come è noto, il Consiglio ha discusso oltre 70 risoluzioni di censura verso Israele, tutte bloccate dal diritto di veto degli Usa. Ebbene, esiste, sia sul piano dei documenti costitutivi dell’Onu sia come esempi concreti, la possibilità di andare oltre il Consiglio di sicurezza e l’arcisicuro veto degli Usa e rivolgersi direttamente all’Assemblea generale, dove i numeri ribalterebbero la situazione e metterebbero Israele alle corde. Che cosa propone dunque Falk, come del resto ha adombrato il presidente colombiano Petro? Molto semplicemente di inviare là un contingente con il mandato di usare le armi a protezione dei palestinesi. È già accaduto, per esempio, con la risoluzione “Uniti per la Pace” nel 1950 e il principio della “Responsabilità di proteggere” nel 2005. Entrambi gli esempi ci dicono che è lecito, in situazioni giudicate eccezionali, interpellare direttamente l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In questo caso, chiedendo l’autorizzazione a un intervento militare contro Tel Aviv e il suo scellerato governo.

Nell’Assemblea la proposta avrebbe una sicura, ampia maggioranza, e i Paesi a favore sarebbero tutti potenzialmente pronti a intervenire a fianco dei Caschi blu ove questi fossero attaccati dalle forze armate israeliane. Non sono bastati i 62.000 morti (che secondo Lancet sono almeno il triplo), non sono bastati i 12-18.000 bambini trucidati, non è bastata l’oscenità della guerra per fame contro un intero popolo, tutto questo non sembra sufficiente a smuovere la coscienza del mondo, se ne è rimasta una ancora viva e vigile, per fare azioni concrete.

Dopo quasi due anni di genocidio finalmente, certo, abbiamo assistito a un riposizionamento di nazioni (l’Italia sta dando come al solito pessima prova) e di osservatori; certo, sta per partire ora la Global Flotilla per portare aiuto concreto e sostegno morale ai gazawi (con il forte timore che l’Idf la fermi di nuovo). Eppure, davanti a tutto questo scempio che dura da troppo tempo, a nessuno viene in mente che, se non si interviene direttamente e concretamente, della Palestina rimarrà solo il ricordo dei vecchi non ancora uccisi o morti di crepacuore. E presto svanirà anche quello perché, come molti studiosi hanno spiegato, Israele fin dalla fondazione ha teorizzato e applicato un “memoricidio” in parallelo alle azioni militari contro i nativi.

Ebbene, dunque, occorre che qualche Paese non asservito agli Usa, qualche leader che non accetta il suprematismo bianco occidentale, batta un colpo. Non possiamo rimanere inerti. La storia non ci assolverà. Se non agiamo subito. Occorre mettere da parte le armi della critica e passare risolutamente alla critica delle armi, come ammonisce il vecchio, saggio Marx.

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