Ago 17, 2025 | Articoli

IL MONDO NELLE MANI DI CHI

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Mentre scorrono le variegate analisi sull’incontro di Trump e Putin in Alaska, analisi che attendono conferme dai fatti che verranno, le immagini sono invece una dichiarazione che non ha bisogno di ulteriori dimostrazioni dello stato del mondo.
Trump, Putin, sullo sfondo Xí Jìnpíng, fuori campo Zelensky, Europa non pervenuta.

A dirigere e decidere sono prepotentemente uomini bianchi di mezza età che trasudano testosterone da tutti i pori ed un’idea di autorità che è tutt’uno con il potere che connota la politica maschile. Il potere inteso come dominio sul mondo e non come governo per la cura del mondo.

E’ difficile introdurre uno sguardo asimmetrico alla realpolitik, ma è indispensabile ricordare che esiste un’altra visione del potere, non meno radicale, ma infinitamente più generativa, che ci indica la cura come pratica politica per riparare il nostro mondo dalla deriva in cui è precipitato. E’ una lente per osservare, ed una leva per sentire e agire.

Non è solo una questione di emozioni o di relazioni private, ma una visione politica. Una politica della cura che si oppone frontalmente alla logica della competizione, della conquista e della sopraffazione. E’ avere una visione che va oltre il realismo. Non lo scavalca, ci fa i conti, ma va oltre.

Realismo vuole che è meglio una guerra fredda che una guerra incandescente. Ogni iniziativa che allontani lo spettro di una terza guerra atomica mondiale va accolta con favore, anzi con sollievo, e oggi ad avere questo potere sono quelli della foto perché appunto il mondo è nelle loro mani. E quindi che si siano parlati è molto positivo, sarebbe grave non riconoscerlo. Se ci fosse ancora Biden forse questo spiraglio non si sarebbe aperto.

Così come, a fronte delle responsabilità dell’occidente a sostenere guerre e depredare le risorse del pianeta, realismo vuole che ogni iniziativa venga presa per ostacolare la sua supponenza dei diritti umani versus la barbarie del “diverso” e la sua pretesa di egemonia globale, il suo fare business della guerra, vada accolta anzi intrapresa. Realismo vuole che è bene prestare attenzione ai BRICS e a ogni iniziativa di multipolarismo.

Bene, ma non possiamo fermarci qui. Serve la forza di immaginare oltre.

Noi che non abbiamo abbandonato il sogno di un altro mondo possibile, in cui non si gioca a colpi di cannone e nemmeno di ricatti e minacce commerciali ma di solidarietà umana e di relazioni tra i popoli, non dobbiamo smettere di guardare verso quell’orizzonte di liberazione. Dobbiamo costruire una proposta per un modello di convivenza alternativo. I femminismi, i movimenti delle donne hanno tanto da insegnare.

Carol Gilligan, psicologa e teorica del pensiero etico ha scritto: “La voce della cura è una voce inascoltata nella teoria morale dominante. Ma è una voce che parla della responsabilità verso gli altri, dell’attenzione ai bisogni, della connessione come base della giustizia.”
Ed è proprio questa voce che dobbiamo amplificare oggi. Perché il mondo, sotto il peso delle minacce globali, ha bisogno di essere curato, non dominato.

La cura non è debolezza, è la forza necessaria per proteggere la vita, ci ha insegnato Vandana Shiva, ma finchè queste sue parole non campeggeranno nei tavoli dei summit in cui si decidono i destini del mondo, sarà difficile liberare l’umanità dalle ingiustizie.

Se vogliamo davvero un’alternativa alla violenza sistemica che domina le relazioni internazionali, dobbiamo ripartire da lì. Dalla cura come atto politico, come gesto rivoluzionario, come fondamento di un mondo che metta al centro non il dominio, ma la convivenza.

Vogliamo un mondo nelle mani dei popoli, nelle nostre mani.

Non è realistico? Forse non lo è, ma l’utopia ci serve a non smettere di camminare, e noi non possiamo fermarci.

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