Ago 24, 2025 | Articoli

GLI EFFETTI ECONOMICI DI UNA PACE IN UCRAINA

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Un secolo fa, Keynes avvertì che persino un accordo di pace può generare nuovi disordini. Dopo la Prima guerra mondiale, i vincitori imposero alla Germania il pagamento di 132 miliardi di marchi-oro: somma che, pur non essendo mai stata saldata interamente, alimentò la volontà di vendetta e aprì la strada all’ascesa del nazismo. Keynes si oppose a quella umiliazione, abbandonò la Conferenza di Versailles e scrisse “Le conseguenze economiche della pace”.

Oggi, con la guerra in Ucraina, lo scenario è diverso, ma non mancano le analogie.
Lo sconfitto sarebbe certamente il popolo ucraino piegato dall’emigrazione e dalle perdite umane al fronte.

Una possibile fine della guerra avrebbe però conseguenze incerte anche per la potenza che, al netto dell’incremento di controllo geostrategico sull’Europa, ha subito un logoramento della propria egemonia: gli Stati Uniti.
La fine della guerra in Ucraina rappresenterebbe per Washington un passaggio necessario per tentare di arrestare, o almeno rallentare, la perdita del suo potere globale.
In questa prospettiva, vi sono quattro “territori” che gli Usa devono cercare di difendere in un’eventuale pace con la Russia: la cessazione dei combattimenti in Ucraina diventerebbe soltanto un tassello di un accordo molto più ampio.

Il primo terreno è la moneta. La guerra ha “armato ” la finanza: sanzioni, congelamento di riserve, esclusione dai circuiti di pagamento.
L’uso del dollaro come “dispositivo di distruzione di massa economica ”ha spinto molti Paesi a cercare alternative. Per ora l’architrave regge: il dollaro resta la valuta di riferimento nei pagamenti internazionali (superiore al 50%), ma crescono regolamenti bilaterali, scambi in valute locali, uso selettivo del renminbi cinese per energia e materie prime. Una distensione con la Russia potrebbe ridurre – almeno temporaneamente – l’incentivo dei Brics più “moderati ” a cercare un superamento del dollaro.

Secondo terreno: debito e commercio. Il debito federale americano ha superato i 37 trilioni di dollari, con interessi annuali intorno ai 1.000 miliardi, più del doppio rispetto a soli quattro anni fa. Un Paese ad alta sovranità monetaria come gli Usa non rischia il default, al contrario dei paesi nell’euro, ma diventa vulnerabile se cala la domanda globale di attività denominate in dollari. Per il presidente statunitense, dazi e reshoring possono forse comprimere il disavanzo commerciale, ma senza una vera politica industriale restano palliativi. Se il ruolo del dollaro continuerà a erodersi, la correzione passerà per tassi d’interesse, cambi e crescita. Non a caso, per Trump, la difesa dell’ordine del dollaro è questione di sicurezza nazionale. La pace in Ucraina avrebbe come primo obiettivo il mantenimento di un equilibrio interno sempre più fragile –fatto di indebitamento, disuguaglianze e fratture sociali –sostenuto interamente da questo squilibrio esterno.

Terzo terreno: energia e materie prime. Non è casuale la scelta dell’Alaska per il primo colloquio Trump-Putin: affacciata sull’Artico, segnala la posta in gioco reale. Un coordinamento Russia-Usa su petrolio – Mosca è il secondo esportatore, Washington il quarto – e gas –i due Paesi sono i primi produttori al mondo – consentirebbe di condizionare largamente i prezzi. Un’intesa sulle rotte artiche e sulle terre ucraine sarebbe anche un modo per recuperare terreno rispetto alla Cina sulle terre rare.

Quarto terreno: la sicurezza nucleare. Usa e Russia detengono circa il 90% degli arsenali. Una pace credibile aprirebbe lo spazio per riattivare controlli e verifiche oggi in crisi. La vera assicurazione per la pace non è la corsa agli armamenti, ma un coordinamento internazionale che renda le nazioni “mutualmente vulnerabili”: nessuna potenza deve poter condurre un attacco atomico senza subire una risposta devastante. La sicurezza del mondo si garantisce riducendo la capacità militare, soprattutto difensiva, come la Guerra Fredda ha dimostrato. Gli Usa hanno quindi tutto l’interesse di concludere una guerra militare con la Russia che, congiuntamente alla politica dei dazi, ha allontanato gran parte del mondo dalla loro leadership.

Per l’Europa, le conseguenze di un’eventuale pace non potranno che certificare invece un dato di fatto. La politica economica, monetaria e commerciale dell’Ue degli ultimi trent’anni ha contribuito al tramonto del continente e alla perdita di centralità dei suoi Paesi principali: non solo l’Italia, ma ormai anche Germania e Francia. Le proposte di rilancio Ue non sono credibili nell’attuale architettura a 27 Stati. La guerra in Ucraina ha avuto almeno un merito: mostrare in mondovisione i limiti strutturali di questa integrazione europea.
Un rilancio europeo potrà nascere solo su basi radicalmente diverse, e forse questa umiliazione geopolitica sarà la premessa necessaria a qualcosa di nuovo.
Questa, almeno, è la speranza: quell’ “ottimismo spontaneo ” che, come spiegava Keynes, guida quasi sempre le azioni umane.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, giovedì 21 agosto 2025

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