Ago 9, 2025 | Articoli

6-9 AGOSTO 1945 HIROSHIMA, LA BOMBA SUL NUOVO SECOLO

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“Il prete gesuita Pedro Arrupe testimoniò della devastazione, le vittime con pelle bruciata e prive di vista. Ma la scienza aveva trovato l’arma che poteva distruggere il mondo intero, e l’avevano gli americani.”

Ecco una domanda a chi, magari con curiosità, legge queste righe per capire come verrebbe percepito, da un essere umano, lo scoppio nel grande cielo sopra di lui, sopra il suo letto, la sua strada, la sua città, di una bomba nucleare, arrivata dall’alto e lanciata forse da un missile, da un drone o da un aereo in volo ad alta quota.

La domanda è: ne avete un’idea, ve l’hanno raccontato, ve l’hanno spiegato, l’avete studiato?

Presumibilmente, la risposta è “no” ad ogni domanda. Come se fosse una storia lontana e irripetibile.

Non è dunque una inutile descrizione quella lasciata per iscritto da un #pretegesuita spagnolo, #PedroArrupe, che dal suo convento non lontano dalla città di Hiroshima (dove era stato spedito in missione in Giappone) il sei agosto del 1945 visse e vide da lontano, dal suo convento, l’esplosione sopra la città di Hiroshima, a seicento metri dal suolo, della bomba atomica (simpaticamente denominata Little Boy) lasciata cadere alle 8.14 e 45 secondi di quel lunedì 6 agosto dall’aereo americano battezzato Enola Gay ed esplosa in cielo (43 secondi dopo essere stata sganciata) a 580 metri dal suolo, con una detonazione equivalente a sedici chilotoni.

LittleBoy riuscì a distruggere il 90% degli edifici abitativi e commerciali (e tutti i 51 templi di ordine religioso, non mancò di notare padre Arrupe) presenti nella città di Hiroshima. È interessante che nel fornire i nomignoli per descrivere, di fronte ai posteri, l’operazione obiettivamente disumana che si stava portando a termine, gli strateghi scelsero – per giustificarsi – il nome di “#NecessaryEvil” per uno dei due aerei di accompagnamento. L’operazione era dunque “Un male necessario”.

Annotò per iscritto poi, freneticamente, quell’incredulo testimone gesuita venuto da lontano: “Ero nella stanza con un altro prete alle 8.15, quando improvvisamente vedemmo una luce accecante, come un bagliore al magnesio. Sentimmo una spaventosa esplosione simile al colpo di vento di un uragano… le fiamme, a contatto con la corrente elettrica, trasformarono la città intera in un’enorme vampa. Non dimenticherò mai la mia prima vista di quello che fu l’effetto della bomba atomica: un gruppo di giovani donne apparentemente cieche, di diciotto o vent’anni, giù lontano, che si aggrappavano disperate l’una all’altra mentre si trascinavano in terra lungo la strada… Il giorno dopo, ciò che ci circondava non incoraggiava certo la devozione per la celebrazione della messa. La cappella, metà distrutta, era stipata di feriti morenti che stavano sdraiati sul pavimento molto vicini l’uno all’altro mentre, soffrendo terribilmente, si contorcevano per il dolore…”.

La piccola Toshiko, di religione buddista, che quel giorno aveva poco più di sei anni, e da poche settimane si era trasferita con la famiglia appena fuori Hiroshima, decise allora di parlare “sempre e ovunque, per tutta la vita” – anche a Roma – contro la guerra; ma cerca di sfuggire al ricordo della bomba: “Quella mattina stavo andando a scuola. Non ho visto niente. Non sono riuscita, in vita mia, a descrivere nemmeno ai miei figli quello che avevo vissuto. Una tempesta di sabbia aveva offuscato il sole. Rimasi accecata, ma la schiena tutta bruciava. Prima tutto bianco e poi tutto nero”.

Decine di migliaia morirono sul colpo; altri dopo giorni, o mesi, fra atroci sofferenze: forse centosessanta, forse duecentomila. Gli storici sono divisi nella fissazione delle supreme responsabilità, e della data, della terrificante scelta atomica degli Stati Uniti (definita in codice “Progetto Manhattan”).

HarryTruman, divenuto Presidente dopo la morte di Roosevelt il 12 aprile del 1945, era stato subito segretamente informato dal ministro della guerra Stimson di ciò che era ormai in via di preparazione nei laboratori della morte e della vittoria: “Un progetto immenso” per la produzione di un esplosivo “di una potenza incredibile”: secondo #JamesByrnes, responsabile della produzione bellica, uno strumento totalmente nuovo “capace di distruggere il mondo intero”. Secondo Stimson si trattava dell’“arma più terribile che mai si sia vista nella storia umana”.

Truman decise di portare rapidamente a termine il progetto; gli osservatori sono concordi nel riferire che “si dette per scontato che la bomba sarebbe stata usata”, e che la prima prova mondiale sarebbe toccata al Giappone.

È evidente che la scelta decisiva in quei giorni – quando tutto l’assetto del mondo futuro doveva essere ancora concordato tra gli Alleati vincenti – si collegava direttamente ai futuri rapporti di forza nell’Europa e nel pianeta.

Secondo la dichiarazione di Stimson a Truman la bomba “avrebbe certamente influito in maniera decisiva” sul futuro assetto del mondo. Si trattava, secondo il nuovo segretario di Stato Byrnes, di “far impressione alla Russia” e rendere possibile agli Stati uniti di “imporre le proprie condizioni alla fine della guerra”; del resto, i russi – argomentava Byrnes – “erano sensibili solo alla potenza”.

All’inizio di maggio si era costituito un vero e proprio comitato operativo per la bomba, composto dai ministri Stimson e Byrnes e dai massimi rappresentanti della ricerca scientifica, Vannevar Bush e James Conant.

Tuttavia l’atomica destinata a uccidere in Giappone non era solo un’arma politica. Si trattava di inventarla dal nulla, di curarla nei minimi particolari tecnici, di prevederne gli effetti e il futuro: era una vera scoperta scientifica umana, progettata a fini di sterminio.

C’era bisogno, dunque, di utilizzare la competenza e l’invenzione degli scienziati più autorevoli, perseguitati in patria e rifugiatisi negli Stati Uniti: tra di loro Oppenheimer, Comton, Fermi; c’era anche Ernest Lawrence, il genio del Sud Dakota (che aveva inventato il ciclotrone e ricevuto il Nobel proprio alla vigilia del 1940) nella riunione rigorosamente segreta di politici, militari e scienziati, in cui nel maggio del 1945 furono fissati gli obiettivi possibili per l’attacco atomico al Giappone: la scelta era tra Kyoto, Hiroshima, Yokohama, Kokura e Nagasaki. #Tokyo era stata bombardata nel marzo 1945, ma con bombe tradizionali.

All’ultimo momento, come obiettivo dell’atomica, fu scelto di disintegrare Hiroshima (dopo aver doverosamente accertato che nei dintorni non c’erano campi per i prigionieri di guerra). Poi (il 9 agosto, tre giorni dopo) con la seconda bomba nucleare la sorte della vittima sarebbe toccata alla città di Nagasaki: stavolta il nomignolo dell’aereo sceso fino a 480 metri sulla città non era simbolico, ma semplicemente ridanciano: “#Fatman”, cioè uomo grasso.

Fra i massimi dirigenti degli Usa e dell’Urss il registro dei colloqui al vertice, che si tenevano a Potsdam (Germania), sembrava ormai sintonizzato sulle note della futura “guerra fredda”.

Un esempio (luglio-agosto 1945): “Caro generalissimo Stalin… Sarebbe opportuno che l’Unione Sovietica si dimostrasse pronta a collaborare con le altre grandi potenze, attualmente impegnate nella guerra contro il Giappone, al fine di conservare la pace… Sinceramente vostro Harry S. Truman”.

“Personale e segreto dal primo ministro I. V. Stalin al presidente Truman: Si deve tenere presente che la penisola Liaotung rappresenta parte integrante della Manciuria. Propongo di apportare alla Ordinanza generale n. 1 le seguenti correzioni: includere nella zona di resa delle forze armate giapponesi agli eserciti sovietici le isole Curili, in conformità alla decisione delle tre grandi potenze presa in Crimea… L’opinione pubblica russa si sentirebbe seriamente offesa se le forze armate russe non avessero una zona di occupazione in una qualsiasi parte del territorio giapponese…”.

Cominciava un altro secolo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, giovedì 7 agosto 2025

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