di Roberta De Monticelli
Sull’inferno di Gaza si è spenta la luce. Con un’altra guerra. Il mondo non vede più lo sterminio, ma la voragine del nulla che Israele ha aperto oltre lo sterminio, e se ne sente risucchiato. Israele «coi pomelli accesi traballa al colmo dei suoi orrendi trionfi».
Come la Germania nella pagina finale del Doctor Faustus di Thomas Mann. Trascinandosi dietro l’America e l’Europa, tornate al linguaggio dell’età del bronzo: lo si parla in televisione, se ne discetta pensosamente sui media. «La tentazione della soluzione radicale è comprensibile. Se di successo, sarebbe un’operazione di segno positivo per l’Occidente e i suoi alleati», (G. Massolo, Corriere della Sera, 16 giugno).
«NON SI DEVE far nascere oggi una nazione che fra cinquant’anni potrà diventare una minaccia per il vicino Oriente e per il mondo intero». Sono parole che Simone Weil scrisse nel 1938. Sbagliava solo i tempi della profezia. Israele divenne una minaccia per il vicino Oriente dal giorno della sua fondazione come stato ebraico nel 1948 (anzi dal’47, anno di inizio della Nakba, la Catastrofe del popolo palestinese). E per il mondo intero, che per settantacinque anni ha distolto lo sguardo dallo strazio dei palestinesi, lo è diventato oggi. Una minaccia ancora incombente, quella dell’annientamento atomico. E una già realizzata in pieno: l’annientamento morale e legale totale. La fine del mondo: del mondo tragicamente incompiuto delle Nazioni Unite, della loro Carta e della Dichiarazione Universale dei diritti umani. C’è chi da sempre, cinicamente, ha visto questo mondo e il suo ordine internazionale come nient’altro che una nuova versione di imperialismo, quello degli Usa, volutamente fondato sulle contraddizioni dell’Onu, il quale realizzò la sua Carta dell’eguaglianza fra gli stati decretandone alcuni più uguali degli altri. E i fatti sembrarono dargli ragione. Ma il cinico è per definizione quello che si accontenta della ragione che gli danno i fatti. Quindi non è innocente del crollo di quest’ordine, perché ha già a priori disprezzato la sua anima morale, bruciata la quale la legge crolla, appiattendosi sulla forza che avrebbe dovuto vincolare.
AI QUATTRO ANGOLI del mondo gli araldi proclamano oggi la sovranità assoluta del più forte. Israele fa bene a scatenare la guerra contro l’Iran, Trump, che rimanda di poco l’intervento diretto, fa bene a intimare la resa incondizionata. Eliminata la minaccia iraniana, gli Accordi di Abramo potranno riprendere alla grande, estendersi all’Arabia Saudita come prevedeva già il progetto Horizon 2035, con una Gaza City simile a Abu Dhabi, resort turistici e impianti a estrazione di gas e petrolio. E pazienza per cosa ci sta sotto. “Soluzione radicale”.
Abramo «è il primo eroe dell’ospitalità, del diritto d’asilo. Penso che i problemi dell’inizio dell’umanità sono anche quelli della fine, specialmente quello del carattere sacro del diritto di asilo e quello del rispetto dello straniero», scrive Louis Massignon, l’orientalista antisionista che anche Edward Said amava. Tutti conoscono l’iconografia di Abramo che ospita i «tre uomini» venuti ad annunciargli la sua tardiva paternità, secondo il passo biblico di cui i cristiani hanno fatto una teofania trinitaria. Anche per Massignon l’ospitalità di Abramo è il luogo della trascendenza. Ma non come la fuga verso l’alto di un dio che sfugge alle mani umane, anzi: come l’incontro della mente umana con l’irriducibile pluralità delle fedi, delle tradizioni, delle “nazioni”, e insieme con l’altezza super partes del giudice che scioglierà il loro conflitto nella pace. Come in una favola di origine orientale, la favola dei tre anelli – le tre religioni – che Boccaccio riscrisse e ficcò in cuore all’umanesimo nascente, nel suo Decameron.
L’UMANESIMO divenuto adulto, l’illuminismo, la ritrovò: Lessing la mise al centro del suo Nathan il saggio. Questo dramma che inaugura una modernità europea possibile, capace di salvezza invece che di genocidi coloniali, capace, anche, di salvare il suo passato, il deposito di «tutti i tesori spirituali» delle civiltà che invece l’Europa coloniale ha sradicato, a Oriente, a Sud, e anche entro se stessa.
ANCHE LA FAVOLA di Lessing si conclude con una profezia: di un tribunale che verrà, «tra mille e mille anni». Il tribunale della ragione? Forse: l’altezza super partes del giudizio sul dovuto agli umani, anche se dio non ci fosse. E se ci fosse, nessuna religione o tradizione o nazione potrebbe imprigionarlo nella figura di un idolo, sia figura politica o economica, sia Leviatano o vitello d’oro, sia territorio nazionale o marketing immobiliare di insediamenti. A proposito, la scena dei tre ospiti di Abramo la Bibbia la situa alle Querce di Mamre, oggi Kyriat Arbat, vicino a Hebron – il più antico degli insediamenti coloniali israeliani, vicino alla città dove l’occupazione e l’apartheid sono più feroci.
E qual era in effetti il sogno dell’illuminismo, se non il mondo che pure tentammo di costruire. Con le sue radici non di sangue ma di carta. Carta che proclamava la supremazia del diritto universale sulle sovranità statali almeno davanti a due obblighi: il rispetto dei diritti umani e il divieto di risolvere con la guerra i conflitti internazionali. Quell’ordine aveva almeno in linea di principio negato che la guerra fosse ancora politica estera lecita per gli stati – a differenza che nel mondo precedente, anteriore alle guerre mondiali.
CHE COS’È la nostra terra promessa, la nostra Gerusalemme celeste, se non l’ideale di quel mondo, appeso al resto di Dio. «Ci sono cose dovute agli umani anche se Dio non ci fosse». Il mondo che oggi pare finito, perduto nell’inferno in cui abbiamo trasformato la terra. Spenti i lumi di Gaza, dove l’anima di quel mondo finisce di bruciare.
Fonte: Il Manifesto – 21 giugno 2025
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