Giu 3, 2025 | Articoli

Ecatombe a Gaza, UE e Italia complici

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di Barbara Spinelli

Grazie ai filmati trasmessi dai giornalisti palestinesi – i soli ammessi nelle zone di morte, più di 200 sono stati ammazzati dal 7 ottobre 2023 – i cittadini europei e statunitensi sono in grado di vedere gli effetti della carneficina di Gaza, e chi conosce un po’ il passato sa anche la natura di quel che vede: un popolo disumanizzato, l’uccisione di bambini, donne e anziani, una carestia pianificata, corpi umani ridotti a scheletri appena capaci di muoversi (i bambini che muoiono di fame non piangono).
Vari organismi Onu denunciano un genocidio: dal luglio 2024 la Corte di giustizia delle Nazioni Unite lo ritiene “plausibile”. Invano ha chiesto a Israele azioni di prevenzione e rimedio.
In lingua araba lo sterminio porta il nome di Nakba, già avvenuta nel 1947-49, quando 750.000 palestinesi furono cacciati e 15.000 uccisi. In ebraico la distruzione nazista degli ebrei si chiama Shoah, e ha lo stesso significato: catastrofe, annientamento. Le televisioni italiane hanno schiuso gli occhi, da quando la fame a Gaza ha raggiunto l’acme, ma ancora si guardano dal dare un nome finale e terribile all’esecuzione d’un popolo, e a pratiche neo-coloniali riabilitate dall’offensiva delle destre statunitensi ed europee contro il cosiddetto pensiero “woke”. I conduttori Tv schivano stizziti quelle che chiamano inutili dispute terminologiche: perché inutili?

Non solo: riprendendo il linguaggio israeliano continuano a parlare di “guerra”. Ma questa non è guerra, in nessun modo è paragonabile allo scontro militare – simmetrico o asimmetrico che sia – fra russi e ucraini armati dalla Nato, o al conflitto Pakistan-India. È un assassinio di massa senza più rapporto con l’atto terrorista del 7 ottobre (1.200 uccisi, 251 ostaggi). Hamas non schiera eserciti, lancia un certo numero di razzi. È un eccidio che mira ad ammazzare ed eliminare un popolo.
Dicono in Palestina che l’alternativa offerta ai suoi abitanti è chiara: “O te ne vai dai territori o muori”. È il piano Trump – Gaza come resort – definito da Netanyahu “brillante e rivoluzionario” (conferenza stampa del 21 maggio) L’alternativa è falsa: dall’inizio dell’ecatombe coloniale non sono consentite fughe e la prospettiva è una: la morte. La maggioranza dei gazawi vuol restare: d’altronde non può far altro. Così come vogliono restare i palestinesi in Cisgiordania, cacciati dai propri villaggi o uccisi dai coloni seguaci del sionismo messianico e armati da Israele. Aveva ragione lo studioso Lucio Caracciolo quando sin dall’inizio della rappresaglia israeliana disse che essendo chiusi i valichi e in particolare quello verso l’Egitto, la scelta di Netanyahu era chiara: buttare a mare i palestinesi. Per questo si parla di “soluzione finale”, e il termine non è antisemita ma pertinente. David Grossman ha scritto: “Davanti a tanta sofferenza, il fatto che questa crisi sia stata iniziata da Hamas il 7 ottobre è irrilevante”.

Da qualche giorno si parla di un risveglio europeo e addirittura di una presa di coscienza da parte di governi e commentatori che fino a ieri si bendavano gli occhi e sussultavano sprezzanti ogni volta che rappresentanti dell’Onu denunciavano il genocidio, e l’assassinio sistematico di medici, operatori umanitari, giornalisti, maestri, scolari, impiegati dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi Unrwa, come se questo significasse qualcosa di diverso da: i palestinesi non devono essere tenuti in vita, sfamati, dissetati, informati, forniti d’un tetto.
D’un tratto i convertiti dell’ultima ora si sentono a posto con la coscienza, si dicono ottimisti, contenti di qualsiasi tregua, come se emettere una o due parole di sorpresa o sdegno significasse qualcosa di pratico e concreto. Come se dire equivalesse a fare, e pronunciare aggettivi come inammissibile, inaccettabile o ingiustificabile significasse qualcosa di più che fumo. Chi si limita a proclamare che una cosa è inaccettabile e non fa nulla l’ha già accettata.
Proprio questo fa gran parte dell’Unione. Sforna aggettivi. È stato annunciato il 20 maggio che l’Ue potrebbe “rivedere” o sospendere il Trattato di associazione con Israele (per violazione dell’articolo sui diritti umani): cosa che prenderà mesi o anni, e comunque richiederà l’unanimità. Nove Stati sono contrari, tra cui Italia e Germania. Intanto i palestinesi muoiono. Sono più coraggiosi i governi che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina (tra cui Spagna, Irlanda, Norvegia, forse in futuro Francia), ma questa mossa è ormai inadeguata: il riconoscimento è molto importante ma non vuol dire che nascerà lo Stato, che carestia e disidratazione finiranno, che le forniture militari a Israele cesseranno.

C’è poi l’immane ipocrisia di Germania e Italia, gli Stati più restii a fermare l’annientamento, i due primi fornitori di armi a Israele dopo Washington. Il cancelliere Friedrich Merz è stato elogiato quando ha detto, dopo 600 giorni e più di 54.000 morti, e disvelando la propria abissale insipienza: “Francamente non capisco più l’obiettivo con cui Israele sta procedendo”. Povero Merz, lui che per quattro anni è stato un dirigente tedesco di BlackRock, la compagnia d’investimenti Usa finanziatrice dell’export di armi a Israele (Lockheed Martin, Leonardo, Fincantieri, General Dynamics, ecc.).
Il pallido comprendonio di Merz migliora, ma non al punto d’interrompere gli aiuti militari a Israele. Il ministro degli Esteri Wadephul dice che “valuterà”. Si ripete che i tedeschi hanno complessi di colpa verso Israele, a causa del genocidio nazista. Senso di colpa del tutto assente verso la Russia (che con 27.000 morti ha salvato l’Europa dal nazismo), e contro cui la Germania sta riarmando se stessa, l’Ucraina, la Polonia e l’Europa.
Il governo italiano non ha opinioni diverse: invia tuttora armi a Netanyahu, nello stesso attimo in cui definisce inaccettabile la sua condotta a Gaza. Si è astenuto quando l’Assemblea Onu ha chiesto il cessate il fuoco, nel dicembre 2023. Idem nell’Assemblea Onu sul riconoscimento dello Stato palestinese, nel maggio 2024. È contro la sospensione del Trattato di associazione Ue. I Tg, anche quelli privati, stabiliscono oscene graduatorie: è più audace Tajani che dice “inaccettabile” o Meloni che dice “ingiustificabile”?

Silenzio totale, infine, sulla pianificazione distruttiva che ha prodotto prima la carestia, poi il finto rimedio affidato da Netanyahu e Trump all’agenzia Gaza Humanitarian Foundation (contractor privati ed ex agenti Cia). Finto rimedio non solo perché enormemente insufficiente. Ma per la strategia che la Fondazione persegue: escludere l’Onu, e concentrare il massimo dei rifornimenti a Rafah e nel centro-sud della Striscia. In tal modo gli affamati vengono ammassati a sud, presso il valico con l’Egitto.
L’architetto e militante Eyal Weizmann denuncia l’“architettura dell’occupazione”. I territori diventano così laboratori spaziali per nuove tecniche di attacco, occupazione, controllo e assassinio collettivo: spostare milioni di palestinesi da Nord a Sud “è anche uno spaziocidio”.

Fonte: IL FattoQuotidiano – 31 maggio 2025

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