di Fabio Mini
Sotto la superficie apparentemente piatta, o in stallo, dei negoziati e delle operazioni militari, scorre un ruscello carsico che si presta a diventare un fiume tranquillo, o in devastante piena, quando e se riemergerà.
Intanto il ruscello non sembra avere acqua limpida, ma una melma carica d’illusioni, irrazionalità e ipocrisia. L’illusione è forse la parte più pulita del corso e riguarda le pseudo speranze che i negoziati portino alla pace, che le forze ucraine riescano a riprendersi, che i russi si ritirino e che l’Europa riesca a liberarsi dalla dipendenza militare degli Stati Uniti e possa tornare a prosperare anche senza le risorse russe. Sono illusioni, appunto, costruite per i molti nostri concittadini che si abbeverano all’informazione cosiddetta occidentale incardinata nell’ideologia della pace giusta e duratura e nella retorica dell’aggressore e l’aggredito, del bene e del male assoluti. Russia e Ucraina hanno deciso lo scambio di prigionieri e stanno organizzando il nuovo round di colloqui diretti. La Russia sta preparando il memorandum di base per la ripresa dei colloqui interrotti nel 2022, partendo però dal punto concordato allora con le varianti sopravvenute durante il conflitto. Un documento semplice e chiaro che ripete ciò che chiede da anni prima e dopo l’invasione: la neutralità ucraina, il riconoscimento delle autonomie delle popolazioni russofone (in pratica la fine della guerra in Donbass), la denazificazione del governo e delle istituzioni (allontanamento di tutti gli elementi neonazisti ed estremisti che, sostenuti dagli americani e dalla Nato, non pensano agli ucraini, ma proteggono gli oligarchi più biechi del globo). Anche gli ucraini, sostenuti dalla burocrazia e da volenterosi bellicisti europei, ripetono ciò che da alcuni mesi sono stati indotti ad affermare: vogliono la tregua incondizionata di almeno 30 giorni, non come oggetto dei colloqui, ma come condizione per iniziarli. A scanso di equivoci, il presidente Zelensky e i suoi amici americani ed europei hanno già fissato i paletti della loro pace: nessun territorio ai russi, nessun vincolo al riarmo ucraino, confische dei beni russi, risarcimenti da pretendere per i danni di guerra e tribunale internazionale per i leader politici e militari russi. In pratica chiedono la capitolazione militare, politica ed economica della Russia. Una posizione talmente irrazionale che essi stessi sanno non potrà essere accettata dai russi proprio mentre stanno vincendo la guerra. Non solo sul campo. E, da che mondo è mondo, l’unico risultato delle guerre esistenziali e territoriali è la ridefinizione dei confini alle condizioni dei vincitori.
Con una buona dose di ipocrisia, Ucraina e volenterosi europei intendono usare la tregua incondizionata per prendere tempo. Come a Minsk. Tempo per riarmare l’Ucraina, intervenire con gli eserciti europei in territorio ucraino con un pretesto (per esempio, il solito “controllo” del rispetto della tregua) e riarmare l’Europa per affrontare e battere la Russia in maniera definitiva. La difesa e la deterrenza sbandierate come elementi passivi del riarmo sono in realtà le maschere per la guerra preventiva che la Nato sta già pianificando. “Dobbiamo battere il nemico al primo colpo, perché se non ci riusciamo dovremo affrontare 15 anni di guerra di logoramento”, ha detto il comandante supremo della Nato. L’Ucraina non vuole la pace con la Russia, ma la guerra permanente contro la Russia combattuta con gli Stati Uniti e, nel dubbio che con Trump si sfilino dall’impegno assunto da Biden, con gli europei della Nato e non. Gli Stati Uniti non vogliono la pace, ma ily disaccoppiamento fra Russia e Cina ed Europa. Al distacco tra Europa e Russia già ci pensano i volenterosi mentre quello con la Cina è tutto da costruire. L’Europa si appresta al blocco navale nel Baltico con lo scopo di inchiodare la flotta militare russa e impedire il transito o sequestrare le navi mercantili di qualsiasi bandiera da o per i porti russi. La Russia ha già avvertito che difenderà e proteggerà tutto il traffico mercantile che la riguarda e che si muove in acque internazionali o in quelle territoriali russe. L’Europa, che nel frattempo deve affrontare l’offensiva economica dei dazi voluti da Trump, ha varato il 17° pacchetto di sanzioni contro la Russia. Le ultime novità delle sanzioni riguardano altre 189 navi mercantili che si aggiungono alle 153 già sanzionate portando a 342 il totale di navigli della cosiddetta flotta fantasma che sta aiutando la Russia.
Il vero rischio di queste operazioni non è l’inefficacia nella riduzione delle esportazioni russe, e nemmeno lo stimolo al ricorso al cambio di nome e appartenenza delle navi. Una procedura che le agenzie degli Stati bandiera registrano e autorizzano con una email durante la navigazione. Non è neppure la ulteriore contrazione degli affari britannici sui noli e le assicurazioni di cui la City londinese non è più monopolista. Più grave è invece il rischio che l’ampliamento dei soggetti sanzionati aumenti il numero di contenziosi in mare o nei porti e dei pretesti per il conflitto armato. Inoltre, come gli Usa, l’Europa minaccia anche sanzioni economiche e punizioni politiche (e non solo) per i paesi che commerciano con la Russia, il che significa allargare all’intero globo il quadro dell’instabilità e dell’ostilità. La commissione europea insiste che le sanzioni funzionano e che la Russia è in crisi grazie a esse. Non si spiega però perché si sia dovuti arrivare a 17 pacchetti e si stiano già preparando 18° e 19°. Non si spiega come la guerra stia aumentando d’intensità e la situazione ucraina peggiorando. E che stia peggiorando è evidente proprio dalla frenesia bellica che domina l’Europa nel suo progetto d’intervento in Ucraina.
Non c’è quindi da meravigliarsi se la Russia stessa sembri ignorare le sanzioni, che comunque riesce ad eludere, e guardi con interesse agli effetti delle sanzioni “secondarie”. India e Cina ne dovrebbero essere i principali destinatari ma non meno importanti sono i paesi con i quali la Russia ha stretto o rinsaldato i rapporti nonostante o proprio grazie alla guerra. Sono paesi che importano e pagano profumatamente i prodotti europei, sono esportatori di risorse e sono paesi attivi nella ricerca di un nuovo ordine globale multilaterale. Le sanzioni su di loro, oltre ad essere aggirabili o ininfluenti, sono cariche di effetti boomerang proprio ai danni dell’Europa. Con intima soddisfazione anche degli americani. Infine, le manovre ipocritamente dilatorie dell’Europa per guadagnare tempo si scontrano con una realtà diversa: il tempo non gioca a favore di nessuno. Trenta giorni servono a poco e già si pensa a un rinnovo periodico e indefinito delle tregue per assicurare quei 5 anni di preparazione alla guerra preventivati dall’Europa. Ma cinque anni sono troppi per garantire la sorpresa di quell’attacco preventivo e risolutivo. La Russia non può concedere tempo ed essa stessa è soggetta alle pressioni americane per regalare un successo qualsiasi a Trump e al proprio interno che chiede maggiore fermezza e intransigenza. Il partito dei cosiddetti falchi sta acquisendo consensi e i vertici militari russi stanno facendo di tutto per dimostrare che la questione ucraina non è risolvibile con il negoziato, ma con le armi. Insistono sul fatto che la fascia di sicurezza, demilitarizzazione e denazificazione che la Russia chiede e che l’Europa nega potrà essere acquisita con la forza, ma senza perdere altro tempo. In Europa vige la stessa convinzione nei riguardi della sconfitta russa, ma mancano risorse e tempo. Intanto l’agitazione bellicista europea favorisce i soli interessi delle lobby politico-industriali del breve periodo e accelera la degenerazione e l’ampliamento del conflitto, il quale a sua volta è destinato a polverizzare le risorse umane e materiali e i sogni europei di prosperità per decenni a venire.
Fonte: IL FattoQuotidiano – 27 maggio 2025
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