Nov 22, 2025 | Articoli, In evidenza

LA DEMOCRAZIA E I CONFLITTI: IL CONCETTO DI OCCIDENTE OGGI

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Il «Patto Atlantico» è il Santo Graal dell’occidente: qualche dizionario presenta i due concetti come sinonimi. I soci fondatori avevano tutti un tratto in comune: usurpavano, o avevano appena perso, un dominio coloniale. Più eleganti degli altri, gli Stati Uniti sin da inizio Ottocento avevano proclamato l’America meridionale proprio «giardino di casa». Sfidando il ridicolo, l’Italia, pur sconfitta nella Seconda guerra mondiale, aveva elemosinato di conservare almeno le colonie «pre-fasciste».
Ma alla metà del Novecento, quando nacque la Nato, il mondo colonizzato era in rivolta. Non era facile riproporre il vecchio predominio: ci voleva un veicolo nuovo. Le parole propinate allora al mondo furono le più comode: «libertà» e «democrazia», usate spesso come utensili intercambiabili. Ripulito, così, il linguaggio, l’occidente poté dare avvio al sanguinoso sforzo di ri-colonizzare i continenti che stava perdendo. Ma il resto del mondo non rimase inerte. Per guerreggiare unito, l’occidente ha bisogno di un «nemico». E anche di una macchina propagandistica incaricata di ficcare nella testa delle persone che — contro il nemico di turno — l’occidente si batte per imporre i suoi «valori». I quali vanno deglutiti perché sono, per definizione, i migliori.
Sulla carta geografica il «nemico» ogni tanto cambia posto e lo stesso Occidente a sua volta si sposta: fino al paradosso, quando «nemico» è un pezzo dello stesso Occidente. Lo fu la Francia al tempo della Rivoluzione, lo è stata la Germania al tempo della Grande guerra. Dalla quale scaturì un disturbo: la Rivoluzione russa. Tosto però il disturbo si convertì in rendita: l’occidente aveva finalmente il nemico assoluto, il male assoluto, una ghiottoneria. Si sprecarono, allora, le crociate. A sorpresa, però, vent’anni dopo, l’occidente «buono» si ritrovò daccapo in guerra contro l’occidente «cattivo», che pure era il più feroce avversario del «male assoluto» al potere in Russia. Se non fosse una tragedia costata milioni e milioni di morti, sarebbe una farsa ineguagliabile.
Il fatto è che il concetto stesso di Occidente non regge. È una parola che imbelletta la politica di potenza facendo intravedere i «valori». I quali, ove tradotti in pratica, comporterebbero crisi radicale dell’occidente armato. L’impalcatura del Patto Atlantico costringeva i contraenti a stare assieme. È stato per tanto tempo un abbraccio sbilanciato e soffocante. Qualche statista non aduso ad «obbedir tacendo» uscì dal patto militare (comando militare integrato): fu un grande del Novecento, Charles de Gaulle, ma i suoi epigoni, quatti quatti, rientrarono all’ovile. Giusto a tempo per regalarci la strage di Ustica sotto copertura Nato.
Con il crollo dell’Urss e degli equilibri stabiliti alla conclusione della Seconda guerra mondiale, tutto cambiò. L’ipertrofica dilatazione della Ue e la altrettanto ipertrofica dilatazione della Nato posero le premesse di nuovi conflitti ma anche di una rotta di collisione inter-occidentale. Il che, nell’euforia della vittoria sul «nemico assoluto», fu notato da pochi. Ormai, con dolore trafiggente per i menestrelli, Usa e Ue si fronteggiano. È una guerra commerciale, certo. Ma non per questo cavalleresca. Le guerre con le armi si fanno altrove, nei mondi considerati «inferiori» (cui i popoli «superiori» — mirando a ricolonizzarli — vendono armi con equanime imparzialità); ovvero si fanno contro popoli considerati «inferiori» (è il caso del genocidio dei palestinesi ad opera dello Stato razzista israeliano).
Soffrono i menestrelli. Le formule predilette, nei loro strumenti di informazione oppiacea, erano due: a) gli Usa, «la più grande democrazia del mondo»; b) Israele, «l’unica democrazia del Medio Oriente». Ora di questi piatti rancidi restano solo macerie. Gli Stati Uniti vengono definiti «ex alleati» dell’unione europea, e Glucksmann jr ingiunge a Macron di chiedere a Trump la restituzione della Statua della Libertà (17 marzo 2025).
È andata in crisi persino la cantilena dei «pesi e contrappesi». Con il cuore a pezzi, i menestrelli sono costretti a confinare in qualche pagina interna la notizia che, dei «pesi e contrappesi», nella «più grande democrazia del mondo» non c’è mai stata l’ombra. Il presidente nomina i giudici della Corte suprema, e questi possono prevalere sui giudici dei singoli Stati. Ergo il presidente fa da contrappeso a sé stesso.
Lo Stato terrorista israeliano — idolo ormai della destra mondiale, in prima fila Marine Le Pen — pone però, ai menestrelli, problemi ben più ardui che non continuare a importunare il marchese di Montesquieu con la «pesistica». Nelle redazioni ci si interroga: il tribunale dell’Aja ha osato qualificare i capi terroristi israeliani come «criminali di guerra». Come squalificarlo dopo averlo, in un passato anche recente, osannato? Rinfacciargli che uno dei giudici non è di «razza» europea? «Tempesta sotto un cranio» avrebbe detto Victor Hugo.
Ma a metà settembre la misura è colma! Il 16 settembre 2025 la Commissione internazionale indipendente (di nomina Onu) osa formalizzare l’accusa di «genocidio a Gaza» attuato da Israele. Che fare? Squalificare sul piano razziale anche la Commissione, che comprende persino un sudafricano e un indiano. Ci pensa Merz, suprematista nostalgico.

Fonte: “Il corriere della sera”, giovedì 20 novembre 2025

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