di Elena Basile

L’ideologia neo-conservatrice americana è basata sul presupposto che la potenza egemone, unico attore rimasto in campo nel trentennio unipolare iniziato nel 1991, poco dopo lo smantellamento dell’Unione sovietica, possa stabilire anche illegalmente e contro il diritto internazionale i valori etici in grado di guidare le guerre occidentali. L’esportazione della democrazia in Medio Oriente era alla base delle guerre illegali di Bush jr. al fine di destabilizzare e indebolire i cosiddetti nemici di Israele e dell’Occidente.
Il “Liberal Order” rappresenta la traduzione di interessi geopolitici, economici, energetici in contenuti etici a supporto di progetti di dominio imperialistico. Le demonizzazioni di Milosevic, Hussein, Assad, Gheddafi, Putin e Hamas applicano la stessa tecnica intesa a manipolare l’opinione pubblica, indotta a sostenere le guerre illegali di Usa, Israele ed Europa come guerre di difesa contro il terrorismo islamico oppure contro le autocrazie che minacciano l’Occidente democratico.
Come questo non possa balzare agli occhi di una intellighenzia (accademia, diplomazia, giornalismo, analisi internazionale …) schierata in maggioranza a favore delle politiche della Nato contro la Russia e in Medio Oriente è difficile da comprendere. Lontani i tempi in cui Pasolini affermava: “Sono un intellettuale, dunque so!”.
Un ordine liberale sarebbe possibile in uno spazio internazionale nel quale viene creata una organizzazione sovranazionale che avoca a sé l’utilizzo legittimo della forza, agisce con comitati di saggi e di esperti indipendenti, con inchieste serie e documentate al fine di punire i trasgressori, gli Stati canaglia, e difendere le regole del diritto internazionale. Appare quindi grottesco che l’Occidente, nel mondo multipolare di cui rappresenta in termini di popolazione e potere economico una percentuale minoritaria, possa stabilire il bene e il male in nome di una fantomatica “comunità internazionale”.
L’Occidente è parte in causa. Le sue sanzioni sono illegali. Costituiscono una vera e propria guerra economica. Del resto, la brutale sincerità di Trump, che colpisce nemici e alleati, ha reso palesi le tecniche mafiose di Washington. Cadere nella trappola ideologica del “Liberal Order” significa, riferendosi a Mosca, balbettare lo slogan aggressore – aggredito che nega la complessità delle dinamiche internazionali e sposa l’approccio sottoculturale dei talk-show televisivi. Ma se, per essere accettati dal mainstream dobbiamo abiurare alla cultura e alla nostra onestà intellettuale, la partita è già persa.
Le condizioni della pace in Ucraina esistono. La condizione essenziale è l’accettazione del fallimento dei disegni di dominio neo-conservatore statunitense rivolti dal 1997 in poi contro la Russia (quasi questa non fosse una potenza nucleare ma uno Stato come l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia…), riaffermati dallo studio della Rand Corporation, think tank del Pentagono, e da Arestovich, consigliere di Zelensky, che nel 2019 farneticava nei suoi incontri internazionali di desovranizzazione della Russia, caduta di Putin e smantellamento della Federazione russa.
Dopo tre anni di guerra dovrebbe essere chiaro che questo disegno di dominio imperialistico, il cui bottino di guerra economico, energetico e geopolitico è esclusivamente statunitense, è fallito, in quanto Putin registra l’80% dei consensi e i parametri economici sono migliori di quelli europei (disoccupazione al 2%, salari reali aumentati del 45%, il debito al 16,4% mentre il nostro è al 137,9% del Pil).
L’Europa oggi, vassalla degli interessi del dollaro, che è in crisi industriale e paga l’energia americana a prezzi quattro volte superiori a quella russa, per il bene dei popoli europei e ucraino, avrebbe dovuto opporsi all’inserimento dell’Ucraina nella Nato e salvaguardare la pace, in virtù dell’applicazione degli accordi di Minsk. Oggi potrebbe riconoscere il fallimento della politica Nato e allinearsi alla posizione espressa da Trump al momento del suo insediamento, riconoscendo le legittime preoccupazioni di sicurezza di Mosca.
Il ritorno a Helsinki potrebbe essere la bandiera di una sana leadership europea. La realtà bellicistica della burocrazia brussellese e di una classe politica europea dominate da intelligence e lobby è intrisa di ignoranza guerrafondaia e di suprematismo bianco. A Gaza siamo complici di un genocidio, in Ucraina del massacro degli innocenti. La Russia non combatte contro l’Ucraina, ma si difende da un attacco strategico della Nato per non perdere la propria sovranità.
De Rita giustamente nota (Corriere, 27 ottobre) che la Generazione Zeta esprime una emozionata indignazione contro il genocidio, ma è priva di rappresentanza politica, di un’istanza che si opponga strategicamente all’unipolarismo di Washington a cui una Europa irriconoscibile si allinea.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, Domenica 2 Novembre 2025

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